Decreto Cingolani

E' in arrivo per la settimana prossima. Obiettivo: aumentare l'estrazione nazionale del gas

9 Settembre 2022

Il Foglio

Argomenti / Ambiente e Energia

La prossima settimana dovrebbe essere presentato il decreto preparato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani per attuare l’aumento della produzione di gas nazionale. Per quanto il governo Draghi abbia definito urgente la materia, le questioni tecniche sono abbastanza complicate e i risultati dovrebbero vedersi solo nel medio termine, con un raddoppio della capacità di produzione nazionale che attualmente è attorno a 3 miliardi di metri cubi. Rispetto al fabbisogno italiano, che è di circa 75 miliardi di metri cubi annui di gas, pare una bazzecola, qualcosa di completamente insignificante. E invece è anche questo, insieme agli altri, un punto fondamentale della strategia di riduzione delle importazioni e quindi di riduzione della dipendenza energetica dalla Russia.

Quanto sia stato miope, anche dal punto di vista ambientale, distruggere un’industria nazionale e ridurre l’autonomia politica ed energetica del paese in nome dell’ambientalismo è evidente dai numeri del piano di riduzione dei consumi di gas presentato dal Mite. In pratica, se l’Italia avesse mantenuto i livelli di estrazione di gas di pochi anni fa, avrebbe raggiunto integralmente, o quasi, gli obiettivi del piano.

L’Unione europea chiede infatti ai paesi membri di ridurre volontariamente, nel periodo che va dal primo agosto 2022 al 31 marzo 2023, il 15 per cento del consumo di gas. Per l’Italia vuol dire 8,2 miliardi di metri cubi in meno.

La riunione straordinaria del Consiglio Ue dell’energia dovrebbe dare la linea su come intervenire sui prezzi record dell’energia elettrica. La Commissione ha elaborato una proposta di regolamento per dare traduzione giuridica a un non-paper di alcuni giorni fa (Il Foglio, 3 settembre). Anche la Repubblica Ceca, presidente di turno, ha messo nero su bianco diverse idee. E’ soprattutto sulle ipotesi di riforma del mercato che si concentrerà il confronto: d’altronde, anche nella campagna elettorale in corso in Italia non si fa che discutere (impropriamente) di “disaccoppiamento” dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas. In tutte le borse elettriche europee, il prezzo dell’elettricità è determinato dal costo marginale dell’impianto più costoso necessario in quel momento per soddisfare il fabbisogno. Poiché spesso si tratta di centrali a gas, il boom dei prezzi del metano determina un’esplosione di quelli elettrici. Per questo, da settimane, si rincorrono proposte su come sganciare i prezzi delle due commodity. In particolare, si parla dell’esclusione del gas dalla borsa elettrica, dell’europeizzazione del “tope al gas” iberico e di un sistema di “cattura” della rendita inframarginale. In cosa consistono e quali effetti avrebbero per il nostro paese?

Il primo meccanismo prevede, in pratica, l’esclusione degli impianti a gas dal mercato. I prezzi dell’elettricità sarebbero determinati dalle altre fonti (rinnovabili, carbone e nucleare). Il gas verrebbe impiegato solo per soddisfare i consumi non coperti dalle alternative e il suo uso sarebbe remunerato a prezzi amministrati. Si tratta di una riforma che interviene direttamente e profondamente sul funzionamento dei mercati, escludendo dalla formazione del prezzo una quota sostanziale dell’energia prodotta. Ci sono alcuni problemi difficilmente superabili. Il prezzo amministrato rischia, se troppo basso, di scoraggiare il ricorso alle centrali a gas mettendo al rischio la sicurezza del sistema. Inoltre, poiché gli stati membri hanno mix di generazione diversi, si determinerebbero distorsioni nel commercio transfrontaliero di elettricità mettendo sotto stress i sistemi nazionali e aumentando i costi per i clienti finali.

Gli altri due meccanismi hanno invece il pregio di non interferire direttamente sui prezzi all’ingrosso, ma di farlo indirettamente oppure di trasferire il vantaggio sui prezzi al dettaglio. Il tope iberico consiste in una sorta di sussidio agli acquisti di gas delle centrali in modo che, abbassandosi il loro costo di produzione, si possa abbassare il prezzo dell’elettricità. Se coordinato a livello europeo – fissando il sussidio allo stesso livello – questo non avrebbe effetti distorsivi sugli scambi tra paesi. Tuttavia, prezzi troppo bassi finirebbero per incentivare il ricorso al gas anziché la sua sostituzione, come sta avvenendo in Spagna e Portogallo, dove altri impianti (per esempio a carbone o quelli cogenerativi) sono oggi scarsamente utilizzati.

Il sistema per la cattura della rendita inframarginale, infine, consiste nell’imposizione di un cap ai ricavi delle tecnologie diverse dal gas. Queste ultime dovrebbero restituire la differenza tra i prezzi di mercato e il cap, in modo da usare il gettito per ridurre le bollette. E’ una procedura simile a quanto disposto dal nostro decreto “sostegni-ter”, che si applica a molti impianti rinnovabili. Con due differenze: da un lato, mentre il sostegni-ter tiene conto anche degli eventuali contratti di cessione dell’energia e delle coperture finanziarie, la proposta europea guarda solo ai mercati spot dell’energia; dall’altro, il cap italiano (60-70 euro/mwh) è molto inferiore a quello ipotizzato dalla Commissione (200 euro/mwh).

Se questo sistema fosse adottato in tutta Europa, l’Italia potrebbe trovarsi in difficoltà. Obiettivo della procedura è infatti quella di allontanare i prezzi elettrici dal costo marginale e avvicinarli ai costi medi di generazione. Ciò favorisce i paesi dove il gas è meno usato (come Francia e Germania, dove nel 2019 ha pesato rispettivamente per il 7 e il 16 per cento contro il 48 per cento italiano). Sicché le nostre imprese e famiglie finirebbero per pagare una bolletta più che doppia rispetto ai competitor.

In ragione degli impatti nel mercato elettrico e di quelle tra paesi, la europeizzazione del tope al gas rappresenta forse la soluzione meno problematica (se il sussidio è fissato a un livello ragionevole). Viceversa, il meccanismo di cattura della rendita inframarginale è per noi la soluzione più insidiosa. La domanda è come potranno il premier Mario Draghi e il ministro Roberto Cingolani convincere l’Europa a rigettare una misura che noi abbiamo adottato per primi a livello nazionale.

da Il Foglio, 9 settembre 2022

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