20 Gennaio 2015
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Nei giorni scorsi sul «Financial Times» un articolo scritto a quattro mani da due noti politologi, Chris Bickerton e Carlo Invernizzi-Accetti, ha avanzato dure critiche nei riguardi dell’atteggiamento di quei protagonisti della scena europea (il presidente della Commissione Jean-Claude Junker, in particolare), che a più riprese hanno manifestato insofferenza verso i nuovi radicalismi emergenti: di destra, di sinistra e talvolta non classificabili utilizzando queste categorie. Per i due studiosi è bene che la cultura democratica sia «includente»: che non metta fuori gioco le forze anti-sistema, ma in qualche modo provi ad accoglierle anche come stimoli al rinnovamento.
La questione è spinosa, dato che questi populismi (si pensi all’estrema sinistra di Syriza in Grecia oppure all’estrema destra del Front National in Francia) sono portatori di tesi e programmi che potrebbero aggravare situazioni già compromesse. Ma è fuori discussione che se queste forze non sono la soluzione alle difficoltà attuali, pure sono sintomi di un malessere che va studiato con attenzione. In particolare, bisogna iniziare a fare i conti e dovrebbero essere consapevoli di questo, soprattutto, i maggiori responsabili dell’Unione che oggi gli estremismi si alimentano di una crescente disaffezione verso le istituzioni comunitarie, il cui profilo resta assai indefinito. Questa distanza della gente comune dai palazzi delle burocrazie europee è però facilmente comprensibile se si tiene presente che quello dell’Unione è un progetto istituzionale privo di una comunità e, di conseguenza, di un’opinione pubblica.
Come insegnò mezzo secolo fa Jiirgen Habermas in un testo ormai classico, i sistemi politici moderni di tipo rappresentativo (da cui le nostre democrazie hanno tratto origine) si sono formati grazie all’emergere di quegli spazi di confronto che in Inghilterra sono stati le coffee-house, in Germania le accademie universitarie e in Francia i salotti aristocratici. Entro tali realtà venivano alla luce problemi condivisi e opinioni contrapposte. In seguito, un ruolo sempre crescente sarà svolto dai mezzi di comunicazione (giornali, radio, televisioni, nuovi media), i quali hanno avuto una funzione importante dal Settecento a oggi nel costituirsi delle moderne agorà. Senza dubbio la crescente ostilità verso Bruxelles è spesso nutrita di sofismi e false soluzioni.
Egualmente essa poggia sulla percezione che ci si trovi di fronte a una costruzione artificiale, priva di una base d’appoggio. Romeni, portoghesi, tedeschi, lituani e finlandesi non vivono entro lo stesso spazio comunicativo e, di conseguenza, non dibattono dei medesimi temi. Ma se non vediamo da . nessuna parte o quasi il manifestarsi di un’opinione pubblica europea, non è possibile immaginare quell’accelerazione verso una democrazia europea che moltissimi, a Bruxelles, caldeggiano con forza.
In questo senso, quanti oggi vorrebbero «più Europa» e «più Bruxelles» rischiano di fare del Vecchio Continente una democrazia senza popolo e senza un autentico confronto tra visioni culturali, opzioni strategiche, ipotesi politiche.
D’altra parte, questa stretta relazione tra sistema informativo, opinione pubblica e partecipazione democratica balza subito agli occhi quando si osserva la struttura dell’informazione nei Paesi di più antica tradizione democratica: dagli Stati Uniti alla stessa Svizzera. In queste realtà anche i mezzi di comunicazione che in qualche modo si dirigono verso l’intera nazione sono spesso realtà locali, in primo luogo espressione di una città o una regione.
La democrazia moderna non necessariamente implica quel faccia a faccia che caratterizzava le polis greche, ma è difficile immaginare che centinaia di milioni di europei possano facilmente accettare istituzioni lontane che essi conoscono assai poco, dirette da politici a loro quasi del tutto estranei, ispirate da modelli culturali remoti o addirittura ostili.
C’è di sicuro un’Europa che cresce, faticosamente, giorno dopo giorno: ed è quella dei commerci aperti, della circolazione dei giovani, della crescente diffusione di lingue condivise (l’inglese, in particolare), delle collaborazioni di varia natura che sorgono dal basso. Ma l’Europa delle istituzioni comunitarie spesso si colloca in un’orbita lontana da tutto ciò. E le sue logiche tecnocratiche rischiano proprio di alimentare culture intolleranti, derive autoritarie, scorciatoie populiste.
Dal Corriere del Ticino, 20 gennaio 215