Converrebbe che i dirigenti della nostra classe politica di destra leggessero bene un bellissimo saggio, La guerra degli intellettuali al cdpitalismo, di Alan S. Kahan, di cui già parlammo, edito da IBL libri. In questo caso è utile segnalare non tanto la parte, per così dire, destruens, del libro: quella in cui si fa a fette l’eroismo dell’intellettuale antiborghese degli ultimi secoli, prendendo in giro i loro tic e le loro debolezze. E interessante invece la posizione costruttiva di Kahan, cioè quella che riguarda la necessità degli intellettuali. Occorre emarginare quel pregiudizio, tanto diffuso a destra, e prima ancora in una certa borghesia operosa, sull’inutilità della figura dell’intellettuale, del pensatore, del filosofo, dello scrittore.
Scrive Kahan, da posizioni liberali e di mercato, che il capitalismo ha ridotto le differenze tra ricchi e poveri, checché se ne dica. «Viceversa, il divario tra gli intellettuali e la classe media è cresciuto a dismisura. Tra il capitalismo del diciannovesimo secolo e quello del ventunesimo le differenze sono molte, ma per gli intellettuali poco è cambiato. Rispetto al 1845 la classe intellettuale è cresciuta, ma questo ha solo aumentato il numero degli intellettuali alienati. La maggior parte degli intellettuali ha trovato e continua a trovare odiosi il capitalismo e i capitalisti. Non ne riconoscono la legittimità». Ciò non va bene, secondo l’autore, che spiega: «Persuadere gli intellettuali a smettere di attaccare il capitalismo è importante non soltanto per evitare la catastrofe, ma per rendere il capitalismo migliore». Quest’ultimo aspetto è molto interessante. Il capitalismo ha bisogno degli intellettuali, un po’ come un tempo la Corona aveva bisogno degli avvocati. «Di fronte a due bisogni, il mercato non ha opinioni su quale sia il migliore. Gli intellettuali invece sì. Possiamo non essere d’accordo con loro su ciò che dovremmo desiderare (del resto gli intellettuali non sono nemmeno d’accordo tra loro) e certamente non dovremmo concedere loro la facoltà di rendere legge le loro opinioni.
Il fatto che il mercato non discrimini tra buono e cattivo gusto, o cerchi di stabilire una scala di bisogni per ragioni etiche, è una cosa positiva, perché altrimenti saremmo costretti a conformarci ai gusti e all’etica di qualcun altro. Nondimeno, abbiamo bisogno di ascoltare i dibattiti sui buoni gusti e sulla buona etica. Tali dibattiti, centrali nel lavoro degli intellettuali, sono l’essenza di una cultura morale. Sono uno strumento rilevante con cui essi possono migliorare il capitalismo». Ecco perché una moderna destra di mercato, proprio perché ritiene che l’intervento che ne modifichi i suoi meccanismi e ne determini i fini sia sommamente pericoloso, ecco perché, dicevamo, quel moderno liberale non può che ritenere fondamentale il ruolo degli intellettuali.
Da Il Giornale, 14 agosto 2022