Di semplificazioni vive l’uomo. Alcune volte sono utili e colgono qualcosa del reale, in altre occasioni distorcono la realtà e il suo funzionamento complesso. Quando si parla di economia si rientra quasi sempre nella seconda casistica. L’idea invalsa è che l’economia sia un sistema i cui fili vengono controllati e gestiti da qualcuno. ln un brillante libro Alberto Mingardi ha ben mostrato come, quando si parla di capitalismo, ci si riferisce ideologicamente a un sistema con una cabina di regia. Si ritiene, con un marcato accento razionalistico, che l’economia sia una sorta di grande Lego i cui mattoncini possono essere aggiunti o tolti a piacimento da un centro di comando. Le catene della produzione sono però assai diverse. perlomeno in un’economia almeno un po’ libera. Questa è piuttosto un puzzle che non ha una chiave – anche se alcuni pensano che lo Stato ce l’abbia – e per il cui funzionamento le decisioni vengono prese in modo decentrato.
Un’economia tendenzialmente libera non si basa sull’idea che esista la ricetta magica per creare ricchezza. Presuppone “solo”, si fa per dire, che vi siano dei presupposti che incentivano la sua creazione. Ne scrivono Tom G. Palmer e Matt Warner in un libro appena tradotto dall’Istituto Bruno Leoni: Sviluppo e dignità. Autodeterminazione, decentramento e lotta alla povertà. Se i premi Nobel per l’economia James Robinson e Daron Acemoğlu hanno parlato di istituzioni estrattive e istituzioni inclusive, gli autori di questo libro, si potrebbe forse dire, si focalizzano su una caratteristica alla base delle istituzioni stesse: il riconoscimento o meno della dignità della persona. Se l’individuo non viene concepito come «diritto umano sussistente» (come avrebbe detto Antonio Rosmini), allora ci troviamo di fronte a istituzioni centralistico-autoritarie e a economie tendenzialmente misere. Al contrario, dal riconoscimento della dignità insopprimibile della persona scaturisce la possibilità di creare ricchezza: l’innovazione, la conoscenza, la sperimentazione e nuove idee trovano una casa più adeguata in contesti liberi e non certo paternalistici.
Ha scritto l’economista Deirdre McCloskey, autrice peraltro dell’introduzione del volume, che la ricchezza occidentale non è il frutto dell’accumulazione del capitale dei pochi rispetto ai molti. ma piuttosto di miriadi di idee contrastanti e concorrenti di cui tutti beneficiano. Dal momento che non esiste una ricetta valida per tutti i contesti. Palmer e Warner argomentano come i decennali aiuti allo sviluppo delle nazioni povere non potessero che rivelarsi fallimentari. Alla base di ciò si trova proprio quello che si scriveva all’inizio: la pretesa che il centro politico possa creare ricchezza semplicemente dirigendo l’economia e disponendo di ingenti fondi. AI contrario, la povertà si combatte solo riconoscendo a ciascuno la dignità di perseguire il proprio progetto di vita senza intralci, lacci e lacciuoli: il paternalismo inaridisce non soltanto l’economia ma la sua stessa fonte morale.