Disaiuti di stato

Allentare la normativa Ue, come dice von der Leyen, sarebbe un danno per l'Italia e per l'Europa

16 Dicembre 2022

Il Foglio

Argomenti / Politiche pubbliche

Dal 2023 potrebbe esserci un cambio di passo nelle regole europee sugli aiuti di stato. Lo ha scritto agli stati membri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, facendo riferimento all’esigenza di contrastare gli effetti pregiudizievoli per le imprese europee dell’inflation reduction act americano. Il pacchetto, da 369 miliardi di dollari, mira a favorire la transizione ecologica, ma in effetti eroga sussidi in particolare al settore automotive. L’UE, Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno alzato la voce e istituito una task force congiunta con l’amministrazione Usa per risolvere il problema, ma i risultati latitano. A questo punto, non ci resta che ingaggiare una guerra di sussidi? Se le cose andassero così, sarebbe una pessima idea. Per dirla con Carlo M. Cipolla sarebbe una decisione stupida – perché “provoca danni a un’altra persona o gruppo senza ottenere benefici per sé o addirittura danneggiando se stessa”.

La disciplina degli aiuti di stato è un unicum europeo. La logica di queste norme, che sono al cuore della costruzione europea, è che i benefici del mercato interno possono essere conseguiti solo se tutti giocano ad armi pari. Quindi, i governi nazionali non possono sussidiare i loro “campioni”: gli aiuti di stato sono concessi solo se rispettano specifici criteri e non sono discriminatori. Questo vincolo ha prodotto risultati enormi in termini di concorrenza, innovazione e integrazione.

Ma ha anche destato l’irritazione di tutti i leader europei, che di volta in volta si sono visti impedire iniziative a cui tenevano. Le norme sugli aiuti di stato sono state temporaneamente sospese con l’emergenza Covid, per consentire ai governi di erogare sostegni alle imprese danneggiate dalle restrizioni. L’obiettivo del cosiddetto temporary framework era lodevole: purtroppo, come non era difficile immaginare, le cose sono scappate di mano. Sono state, infatti, prorogate quest’anno a causa della guerra in Ucraina. E adesso far rientrare il dentifricio nel tubetto sembra difficilissimo.

Minori vincoli sugli aiuti danneggerebbero anzitutto i consumatori. Inoltre, dalla prospettiva italiana, l’allentamento della disciplina sarebbe particolarmente dannosa perché darebbe adito agli stati con maggior spazio fiscale di aiutare le proprie imprese (altro che interesse europeo!). La normativa sugli aiuti rappresenta dunque un importante argine all’asimmetria nella capacità di spesa tra paesi. Insomma, mai come oggi, l’interesse nazionale italiano, che per l’attuale governo è una vera parola d’ordine, coincide con la difesa dei princìpi europei.

Oltre che stupida, una simile guerra economica con gli Stati Uniti sarebbe anche inutile. Joe Biden ha nei giorni scorsi dichiarato che farà spallucce di fronte a una pronuncia del panel dell’organizzazione mondiale del commercio che ha ritenuto contrari alle regole i dazi su acciaio e alluminio imposti ai tempi di Trump. Figurarsi se farà un passo indietro rispetto al pezzo di legislazione più importante della sua Amministrazione.

Nonostante la Commissione ambisca ad acquistare un ruolo più geopolitico, rivendicando la sovranità economica europea, questo sarebbe il dossier sbagliato su cui puntare. Fischiare il “liberi tutti” (o quasi) sugli aiuti di stato, esporrebbe gli stati più fragili alla concorrenza sleale di quelli più ricchi, finendo per ampliare le occasioni di scontro. Con il programmato ritorno all’applicazione delle regole di governance economica, infatti, finiremmo per scatenare una guerra tra gli stati ricchi e quelli (come l’Italia) con meno margini di manovra fiscale. Anziché avere un’Europa più sovrana, avremmo un’Europa più divisa.

da Il Foglio, 16 dicembre 2022

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