Divieto al motore endotermico: il diavolo statalista fa le pentole ma non i coperchi

Se l'auto elettrica è destinata a sbaragliare il motore tradizionale, allora non c'è alcun bisogno di un intervento a gamba tesa. Se invece la premessa è infondata, quando ce ne accorgeremo sarà troppo tardi

28 Giugno 2022

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche

Il Parlamento europeo ha votato a favore della proposta della Commissione per il bando del motore a combustione interna a partire dal 2035. Adesso la palla è nel campo del Consiglio europeo, in seno al quale stanno emergendo le prime divisioni. Infatti, i paesi con una più radicata presenza dell’automotive – quali Italia e Germania – spingono per un ammorbidimento, chiedendo quanto meno un rinvio al 2040.

Dal punto di vista formale, la proposta prevede un obbligo di emissioni zero per tutte le auto immatricolate a partire dal 2035. Il tentativo di compromesso proposto dai popolari, che prevedeva una riduzione del 90 per cento delle emissioni dei nuovi motori, è stato respinto. Questa scelta rafforza l’idea che la politica ambientale ed energetica europea sta assumendo sempre più l’aspetto della politica industriale. De facto si compie una scelta di campo a favore del motore elettrico, con buona pace della neutralità tecnologica tanto decantata.

Intendiamoci: in questo momento tutto sembra spingere a favore del motore elettrico e non c’è dubbio che esso sia destinato ad acquisire fette di mercato sempre crescenti, specie se i progressi nelle batterie consentiranno di contenere i costi e di accelerare i tempi di ricarica. Ma questo non significa che non vi sia spazio o prospettiva per altre tecnologie, dai carburanti sintetici all’idrogeno. Nei fatti, la decisione del Parlamento – se confermata – avrà l’effetto di spazzare via, almeno in Europa, ricerca e investimento in queste opzioni, per le quali resterà solo (ma quanto, e fino a quando?) l’eventuale prospettiva di applicazione nei trasporti pesanti. Ancora di più, la prospettiva di un divieto uccide lo sforzo dei produttori di sviluppare motori euro7, proseguendo nel percorso di miglioramento delle prestazioni ambientali dell’auto tradizionale: che senso può avere dedicare risorse finanziarie e umane a uno standard che nessuno al mondo richiede, e che sarà presto fuori commercio proprio nei paesi che lo impongono?

Purtroppo, la politica industriale è frutto del demonio statalista e, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La convinzione di molti attivisti, studiosi e persino governi sembra che, stante il bando dal 2035, fino al 2034 tutto continuerà come se nulla fosse: gli automobilisti troveranno stazioni di riferimento, parti di ricambio e automobili secondo i loro desideri. Temiamo di essere facili profeti nel dire che non sarà così. Sapendo che, nel giro di pochi anni, l’auto tradizionale non potrà più essere immatricolata in Europa, è probabile che i produttori di componenti cercheranno di rinconvertirsi, gli autosaloni di ripensarsi, i gestori delle stazioni di rifornimento di riorientare il loro business e i consumatori stessi di prevenire la perdita di valore dell’usato. Insomma: il bando del motore endotermico avrà effetti molto prima del 2035. Forse questo è proprio il suo obiettivo, ma come in tutti i casi di cambiamenti imposti dall’alto (anziché emersi dal basso) il rischio è proprio che il prodotto indesiderato sparisca dal mercato, mentre quello voluto non sia ancora disponibile o comunque non abbia le prestazioni o le caratteristiche richieste. E la rarefazione del tessuto industriale non avrà impatti solo sulla filiera dell’automobile, ma anche su quella dell’autotrasporto, per ovvie ragioni.

Insomma: il paradosso è che, se le premesse della scelta sono corrette, se cioè l’auto elettrica è destinata a sbaragliare il motore tradizionale, allora non c’è alcun bisogno di un intervento a gamba tesa. Se invece la premessa è infondata, quando ce ne accorgeremo sarà troppo tardi.

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