In risposta ad una lettera a La Stampa
Gentile Attinà,
evviva i richiami alla coerenza. Lei però mi sembra identificare un’antica presa di posizione del Pli (contrario all’istituzione delle Regioni) con forze politiche nate dopo il tracollo della prima repubblica. Non sono sicuro che la loro genealogia sia così chiara. Negli Anni 90 si parlava molto di federalismo e presidenzialismo, per cercare una sintesi fra la Lega e altre anime della destra. Le due cose non vanno necessariamente assieme: Svizzera e Germania non sono repubbliche presidenziali. L’una e l’altra riforma renderebbero però più trasparente la politica, aiutandoci a identificare chiaramente le responsabilità. Senza federalismo fiscale, se non sono cioè le Regioni a raccogliere le imposte che pagheranno per le loro spese, è naturale che alcune di esse spendano troppo e male. Per questo bisogna rovesciare la piramide fiscale, in modo che siano gli enti locali a raccogliere le imposte.
L’obiettivo è far sì che i cittadini possano meglio comprendere quanto stanno pagando e per quali servizi. E dunque votare pro o contro i loro governanti pro tempore a ragion veduta. Premiando chi offre servizi di qualità, penalizzando chi non riesce a farlo, ma nella piena consapevolezza che quei servizi non sono la manna dal cielo: vengono pagati con le loro tasse.
Già oggi, in Italia non tutte le Regioni sono uguali. Ce ne sono di più e meno «virtuose». Ciò riflette scelte che hanno fatto in passato: per esempio la riforma del 1997, che ha portato un po’ di concorrenza nel settore della sanità, consente alla Lombardia di avere cure fra le migliori d’Europa senza spendere più di altri territori. In un sistema federale, le Regioni si farebbero concorrenza proprio sulle politiche e magari imparerebbero le une da quanto di buono fanno le altre. Per carità: non sarebbe un processo d’apprendimento né immediato né indolore. Ma, visti gli insuccessi di oltre 150 anni di centralismo, cos’abbiamo da perdere?
Da La Stampa, 27 ottobre 2017