Dopo la dieta del «cinepanettone» l'industria italiana è tornata in forma

Tralasciando le considerazioni di carattere «estetico», il giudizio sul cinepanettone non può allora che essere positivo

5 Maggio 2014

Il Giornale

Filippo Cavazzoni

Direttore editoriale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Trent’anni di successi e di polemiche. Il cinepanettone è stato una tradizione natalizia italiana. Per alcuni un fenomeno da disprezzare, per altri un divertimento fisso.
In ogni caso un totem che, con le parole di Massimo Ghini, «è servito a riunire tutti contro qualcuno». Le sue origini risalgono al ’83, con Vacanze di Natale. Dopo un po’ venne Vacanze di Natale ’90, e da allora cominciò una marcia inarrestabile. Tre le costanti: produzione Filmauro; regia di Carlo Vanzina, Enrico Oldoini o Neri Parenti; interpretazione di Christian De Sica. A questi elementi fissi se ne sono accostati altri, come la presenza di Massimo Boldi, le ambientazioni esotiche, i tormentoni musicali del momento, la partecipazione di volti noti della tv e di comici con parlate regionali.

Dopo che attorno al fenomeno hanno dibattuto giornalisti, opinionisti, politici, è arrivato il momento degli accademici. Prima Alan O’Leary con Fenomenologia del cinepanettone (Rubbettino, 2013); e ora l’accurato saggio di Marco Cucco sulla rivista del Mulino Economia della cultura. In Il cinepanettone nell’economia del cinema italiano, Cucco analizza l’impatto di queste pellicole. Tranne che negli ultimi anni, il film di Natale di De Laurentiis ha sempre registrato incassi elevati. La sua forza commerciale è stata unica nel panorama italiano. Dalla stagione 2000-2001 alla 2012-2013, per otto anni su tredici è stato il film italiano che ha ottenuto il maggior incasso in sala. In media, queste pellicole hanno realizzato un settimo di quanto raccolto al botteghino da tutti gli altri film italiani. La Filmauro ha tenuto ancorato il film alla sala, cedendo i diritti alla pay tv ma non a Rai, Mediaset, La7. Il cinepanettone, senza artifici tecnologici come il 3D, ma costruendo attraverso la serialità un’abitudine entrata a far parte dei costumi degli italiani, ha mantenuto strettissimo il rapporto degli spettatori con la sala. Il ciclo però si è esaurito, sopravanzato da un nuovo filone di commedie popolari che hanno fatto tesoro della lezione. Così sono arrivati i successi di Che bella giornata (2011), Benvenuti al nord (2012) e Sole a catinelle (2013).

Per Cucco, docente all’Università della Svizzera italiana, il lascito del cinepanettone è triplice. Per la prima volta anche in Italia sono state messe in atto pratiche mutuate dall’industria cinematografica statunitense: il nesso cinema-giorno di festa, lo sfruttamento della serializzazione, la distribuzione in un elevato numero di sale e, soprattutto, il massiccio sforzo promozionale nelle settimane precedenti l’uscita. Inoltre, il cinepanettone ha rappresentato un traino per l’intera economia del settore. Infine, ha portato all’industrializzazione del cinema italiano: utilizzo di finanziamenti unicamente privati, pratica spinta del product placement e, in alcuni casi, co-produzioni internazionali. Tralasciando le considerazioni di carattere «estetico», di competenza dei critici, il giudizio sul cinepanettone non può allora che essere positivo: ha trovato «una strada indipendente da quella della sovvenzione pubblica», ha utilizzato «tutte le possibili fonti di finanziamento disponibili nel mercato» e «ha cercato di mantenere un dialogo costante col proprio pubblico per capirne e intercettarne i gusti divenendo così competitivo».

Da Il Giornale, 5 maggio 2014

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