16 Dicembre 2016
Il Sole 24 Ore
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’elezione di Donald Trump doveva essere uno tsunami per l’economia globale: magari sarà una brezza gentile, che riempie le vele e assicura una buona navigazione. Il nuovo presidente americano si è rivelato un politico nato. Da buon politico, ha esagerato con le promesse: spesso contraddittorie. Rispetto alla globalizzazione, Trump propone un approccio assieme più “difensivo” e più “aggressivo”.
Sul suo protezionismo si è scritto molto: il muro col Messico, la rinegoziazione dei trattati multilaterali a cominciare dal Nafta, l’uscita dal Wto. Sono tutte cose più facili a dirsi che a farsi. 11 rischio maggiore è quello di un effetto domino: una maggiore “chiusura” americana potrebbe trovare imitatori entusiasti altrove nel mondo, con ripercussioni negative sullo scambio internazionale e sulla qualità della vita di tutti. La politica tende a ragionare per formule semplificanti, ignorando la complessità delle produzioni. Per intenderci: l’iPhone sarebbe quello che conosciamo, se dovesse essere prodotto interamente in un solo Paese?
Ma assieme a tutte queste cose, Trump ha anche annunciato una robusta sforbiciata a tasse e regolamentazioni. La tassazione sulle imprese, negli Stati Uniti, è molto elevata. Il quadro regolatorio, al di là delle mitologie (il neoliberismo), estremamente complesso. Provare a occuparsene non significa uscire dalla globalizzazione, ma starci in un modo diverso. L’integrazione dei mercati doveva accelerare la capacità d’apprendimento dei governi.
La maggiore mobilità di imprese e capitali avrebbe dovuto suggerire come mettere mano alle istituzioni, perché potessero agevolare e non strangolare la crescita economica. Questo, più o meno, nei Paesi emergenti è successo. Non c’è burocrazia che rinunci al proprio potere con entusiasmo: e tuttavia abbiamo visto migliorare rispetto dei contratti, tutela dei diritti di proprietà, qualità delle regole. E in Occidente?
Fin qui le nostre classi dirigenti si sono illuse che fosse il resto del mondo a convergere su livelli “europei” di spesa, tasse e Stato sociale. Ci si è dedicati alla manutenzione del welfare, guardandosi bene dal ripensarlo in profondità. Alla concorrenza fiscale con altre giurisdizioni, abbiamo sdegnosamente preferito non partecipare.
Trump sa bene che la politica è l’arte del possibile e fra un approccio e l’altro potrebbe scegliere quello più congeniale anche al grosso del suo partito. Questo strano leader “no global” potrebbe meglio di altri imparare le lezioni della globalizzazione. Anche quelle che finora nessuno ha osato apprendere.
Da IL, 16 dicembre 2016