Ebooks e libri pari non sono

Per il legislatore i libri elettronici non sono ancora uguali a quelli di carta. Non almeno dal punto di vista fiscale

23 Maggio 2014

Europa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Cos’è un libro? Liber, da cui libro, indica in latino una parte della corteccia degli alberi che serviva come supporto per incidere i caratteri. Etimologia simile alla greca, dato che biblos era il nome del papiro egiziano su cui si scriveva.
Il mondo è andato avanti, e da secoli non scriviamo più su cortecce e papiri. Ma la stampa a caratteri su fogli rilegati si chiama sempre “libro”.
Questo perché il libro si compone di due elementi: quello fisico, che cambia senza che necessariamente cambi il contenuto (le copie di uno stesso libro sono lo stesso libro), e quello, predominante, astratto: il senso delle parole, la combinazione linguistica di frasi, concetti, espressioni che rendono pieno e infinito il supporto fisico.

L’identità di un libro non è il materiale di cui è fatto, ma, per dirla con Kant, il discorso che trasmette. Se così non fosse, paradossalmente non potremmo più chiamare libri rilegature di carta e non di corteccia.
Il mondo ha continuato ad andare avanti, e già i libri di carta sono definiti, nel linguaggio corrente, “tradizionali” rispetto a quelli elettronici. Un nuovo inchiostro, elettronico appunto, verga supporti informatici che raccontano lo stesso discorso raccontato dai libri di carta.
Eppure, per il legislatore i libri elettronici non sono ancora uguali a quelli di carta. Non almeno dal punto di vista fiscale.
Su questi, infatti, si applica, come a tutti i prodotti editoriali salvo pubblicazioni pornografiche e cataloghi diversi dall’informazione libraria, un’Iva agevolata al 4%, in considerazione del fatto che sono veicolo di cultura, mentre gli altri sono ritenuti un prodotto generico di consumo, con Iva comune al 22%.
Una dimenticanza forse, o meglio un ritardo del legislatore che, come spesso accade, coglie con lentezza i cambiamenti.
Un libro resta un libro, comunque lo si trasmetta, poiché la parte essenziale di esso, ciò che lo identifica è appunto, tornando a Kant, il discorso che l’autore trasmette, nonostante i tentativi dei governi e dell’Unione europea di restringere al supporto cartaceo l’elemento caratterizzante l’attività editoriale, come raccontato da Giacomo Mannheimer in un recente lavoro dell’Istituto Bruno Leoni.

Il ministro della cultura Franceschini avrebbe voluto portare all’attenzione del consiglio dei ministri di ieri, tra le norme del decreto cultura e turismo, l’abbassamento dell’Iva al 10% su riviste e libri elettronici. Nel decreto, la previsione è saltata e con essa, per il momento, la possibilità di sanare in parte l’irragionevolezza tributaria di trattare due beni uguali in modo diverso.
Se il passo va compiuto, sarebbe tuttavia preferibile che fosse compiuto per intero. La riduzione dell’Iva sugli ebooks non deve essere una strategia per aiutare uno specifico settore, ma, molto più semplicemente, il ripristino di un senso di equità fiscale tra due beni che, per un lettore, pari sono.
A Bruxelles ci sono ancora dubbi su questa parità e la discussione, anche con Stati che hanno già provveduto ad abbassare l’Iva sugli ebooks, è piuttosto vivace. Il semestre italiano potrebbe essere un’occasione utile alla nostra presidenza per portare la discussione all’interno dell’agenda digitale europea e chiarire che anche nella legislazione, come nel linguaggio comune, ciò che contraddistingue un libro è il suo contenuto.

Da Europa, 23 maggio 2014
Twitter: @seresileoni

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