23 Settembre 2022
Il Secolo XIX
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Argomenti / Politiche pubbliche
Cosa propongono i partiti per uscire dalla crisi? Domenica gli italiani sceglieranno a chi attribuire il proprio voto. La maggioranza e il governo che usciranno dalle urne dovranno confrontarsi con una situazione difficilissima: il ritorno dell’inflazione, il caro energia, la gestione del Pnrr, il posizionamento internazionale dell’Italia. L’economia non è, ovviamente, l’unico terreno di scontro tra le forze politiche, ma è certamente uno dei campi principali. Vediamo, allora, in cosa i maggiori schieramenti concordano e dove, invece, divergono.
Questo articolo si basa su una serie di incontri coi responsabili economici dei partiti organizzati dall’Istituto Bruno Leoni (e raggiungibili sul canale YouTube dell’Istituto), su una mappatura realizzata dalla società Cattaneo Zanetto & Co. e, ovviamente, sulla lettura dei programmi depositati presso il ministero dell’Interno.
L’energia
Il punto di partenza è, inevitabilmente, la crisi energetica in corso, che condiziona i programmi specialmente nelle parti dedicate alle iniziative da assumere nei primi cento giorni. Tutti chiedono un price cap al gas e il “disaccoppiamento” dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas. Si tratta di temi tecnicamente complessi e che si giocano in sede europea.
È comunque chiaro che la politica italiana, almeno in questo ambito, si è pienamente allineata dietro la posizione del governo (che, peraltro, in questo momento non sembra trovare grande consenso in Europa). A ogni modo, tutti chiedono interventi ancora più incisivi a favore dei consumatori. L’Italia è tra i paesi Ue che hanno speso di più (circa il 2,8 per cento del Pil). Su questo tema si è distinto in particolare Matteo Salvini, che ha dato una cifra (30 miliardi di euro) e indicato dove trovarla (scostamento di bilancio, cioè debito).
Un’altra differenza sostanziale è tra chi pensa di trarre l’Italia fuori dalla crisi puntando unicamente sulle fonti rinnovabili (la coalizione di sinistra e il Movimento 5 stelle) e chi, invece, pensa che nella transizione debbano avere un ruolo centrale sia il nucleare, sia lo sfruttamento delle risorse nazionali di gas (Terzo Polo e destra).
Le tasse
Se allarghiamo lo sguardo, c’è una divisione tra i partiti che cercano di mettere al centro della propria retorica la questione della crescita (destra e Terzo Polo) e quelli che insistono sul contrasto alle diseguaglianze (sinistra e Cique Stelle). Naturalmente ciascuno sostiene che, puntando su un tema, si risolve anche l’altro: cioè che promuovendo la crescita si affrontano le disparità o che, viceversa, rimuovendo le divaricazioni sociali si stimola lo sviluppo economico.
Questa diversa analisi produce programmi molto diversi sul fisco, che forse è il singolo tema (assieme al lavoro) su cui si apprezzano maggiormente le differenze nelle proposte politiche dei partiti. A destra, la parole d’ordine è “flat tax”, anche se questo termine viene utilizzato in modo improprio: nessuno propone realmente una riforma tributaria nel segno dell’aliquota piatta. Si tratta, piuttosto, di estendere o aggiungere regimi derogatori dall’attuale irpef (sul modello del forfettario per gli autonomi) in modo da perseguire una riduzione e una convergenza delle aliquote medie effettive.
La sinistra propone di concentrarsi sui redditi da lavoro, con l’obiettivo di garantire l’equivalente di una mensilità aggiuntiva e di razionalizzare le attuali agevolazioni di natura sociale passando dal criterio di detassazione a quello di erogazione I pentastellati affidano il cuore della loro proposta fiscale alla prosecuzione e potenziamento delle misure bandiera dei governi Conte: il cashback e il 110 per cento. Azione e Italia viva, infine, propongono di riprendere dalla delega fiscale discussa nella legislatura che si sta concludendo, per aggiustare le aliquote Irpef (riducendole e semplificandole) e soprattutto per creare condizioni più vantaggiose per le imprese.
A questo proposito, praticamente tutti si impegnano a sopprimere l’Irap. Pochi, sfortunatamente, fanno i conti di quanto la realizzazione delle promesse elettorali costerebbe, e come potrebbe conciliarsi con l’esigenza di mantenere in sicurezza i conti pubblici. La preoccupazione per il bilancio dello stato affiora sia nel programma del Terzo Polo sia nelle dichiarazioni pubbliche di Giorgia Meloni, mentre pare quasi del tutto assente nelle considerazioni degli altri candidati.
Le pensioni e il lavoro
Infatti, quasi tutti chiedono di annacquare (se non proprio abolire) la riforma Fornero delle pensioni. Questo tema è, anzi uno dei cavalli di battaglia della Lega. Simmetricamente, i Cinque stelle mettono il reddito di cittadinanza al centro, chiedendone un rafforzamento. Il Partito democratico difende nella sostanza il reddito di cittadinanza, pur proponendone degli aggiustamenti, mentre Terzo Polo e destra ne sono critici e vorrebbero limitarlo a quei beneficiari che non sono occupabili.
Infine, sul lavoro si assiste a un’altra divisione netta: il M5s, la coalizione di sinistra e il Terzo Polo vorrebbero un salario minimo legale (anche se si dividono sul punto a cui fissare l’asticella). La coalizione di destra si oppone ritenendo che i minimi salariali vadano lasciati alla contrattazione tra le parti sociali.
Destra e sinistra
I programmi elettorali vanno sempre presi con le pinze, sia per quanto riguarda i loro limiti (per esempio la mancata considerazione dei costi), sia per quanto riguarda i loro contenuti (molte promesse servono semplicemente a lanciare un messaggio a elettorati specifici). Eppure, contribuiscono a dare un’idea di come i partiti vogliono essere percepiti e, dunque, in quale orizzonte culturale si collocano. Rispetto al passato, in questa campagna elettorale sembra di tornare a osservare una divisione abbastanza netta e tradizionale tra destra e sinistra almeno su alcuni temi, dal fisco al lavoro.
Il Movimento 5 stelle, in tale rappresentazione, si pone all’estrema sinistra dello schieramento (assieme ad altre forze minori, quali Unione popolare). Il Terzo Polo si sforza di offrire una proposta – per così dire – liberale.
A differenza della campagna elettorale del 2018, i partiti sembrano avere abbandonato l’attacco frontale all’Unione europea, che ormai è relegato solo a piccole formazioni come Italexit. Non si ha, cioè, la sensazione che la vittoria dell’una o dell’altra coalizione possa mettere in discussione il posizionamento internazionale dell’Italia o il suo legame economico e politico con l’Europa. Questo è, ovviamente, un elemento incoraggiante.
Le accise
Al tempo stesso, i partiti sembrano consapevoli – seppure non tutti in eguale misura – non solo della difficoltà della fase che stiamo attraversando, ma anche dello scarso spazio di manovra che ereditano dal governo uscente. Una serie di decisioni di spesa – per esempio, il taglio “provvisorio” delle accise che costa un miliardo di euro al mese – potranno difficilmente essere abbandonate. Ma questo implica l’impegno di ingenti risorse finanziarie, che saranno dunque sottratte al perseguimento delle promesse elettorali.
Se questo sia un bene o un male, è una domanda dalla risposta non scontata. Qualunque scelta compiano gli elettori, è importante tenere conto che i programmi non vanno presi alla lettera. Ma non possono neppure essere ignorati: attraverso di essi forse i partiti non ci dicono quello che realmente sono e vogliono, ma ci fanno capire cosa desiderano che pensiamo di loro.
Da Il Secolo XIX, 23 settembre 2022