Educazione libera, l'ora delle scelte

Le vie per un sistema di formazione più plurale sono molte e differenti. E' ora cruciale comprenderlo e muoversi subito in questa direzione

29 Agosto 2022

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Quando si discute di libertà di educazione, in linea di massima si tende a fissare l’attenzione e questo è comprensibile sulle modalità di finanziamento degli istituti scolastici: pubblici o privati. In Italia, ad esempio, nei decenni scorsi (soprattutto per merito di Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Antonio Martino) è stata spesso proposta l’introduzione di un “voucher” (o buono), tale da permettere a ogni studente di scegliere la sua scuola. L’idea sarebbe che lo Stato non finanzi direttamente le scuole e non paghi gli stipendi ai docenti, madia a ogni giovane un assegno spendibile soltanto per “acquistare” la propria formazione: in un istituto scolastico di Stato oppure libero.

Il dibattito
Le questioni che solleva il buono-scuola sono importanti, ma non esauriscono l’intero dibattito. In effetti, quando ci s’interroga sulla formazione dei giovani è cruciale riflettere pure sui programmi delle scuole stesse, e quindi su come lo Stato (in Italia e non soltanto da noi) limita la possibilità di delineare temi e metodi alternativi rispetto a quelli fissati d’imperio. Quanti frequentano un liceo, ad esempio, studiano storia della filosofia (ma non filosofia) e storia dell’arte (ma non storia della musica) soltanto perché Benedetto Croce e Giovanni Gentile decisero così. La loro filosofia storicista e il loro scarso interesse per Monteverdi e Stravinskij li hanno portati a definire una volta e per tutte quelle regole che anni, del tutto ingiustificatamente, ora paiono scritte nella pietra.

In una società libera dovrebbe invece essere alzato un muro tra la scuola e il potere, così come tra religione e Stato. Ogni famiglia e comunità dovrebbero vedere riconosciuto il proprio diritto a costruire percorsi formativi adeguati ai giovani, che ne valorizzino i talenti e li mettano in condizione di affrontare le sfide del futuro. Non è un caso che, in varie parti del mondo, stanno affermandosi le scuole parentali (homeschooling).

Tutto è iniziato quando una sentenza della Corte suprema americana ha dato ragione agli Amish e ha riconosciuto loro il diritto di educare i ragazzi a casa. Questo ha permesso a chiunque, negli Stati Uniti, di costruire un universo scolastico alternativo rispetto a quello istituzionale, dominato da docenti progressisti. I primi a farsi carico direttamente dell’educazione dei propri figli, anche costruendo una rete di famiglie, sono stati quei cristiani evangelici che giudicano incompatibile con i loro valori la cultura che domina l’establishment statunitense.

Nei decenni questa realtà si è molto radicata e i risultati ottenuti all’università da questi “homeschooler”, tra l’altro, sono ottimi. In Italia, di recente, nella crisi sociale determinata dalle politiche imposte per fronteggiare il Covid-19 pure molte famiglie della più diversa estrazione ideologica hanno cominciato a praticare l’homeschooling, dedicandosi direttamente alla formazione dei figli. Ed è interessante rilevare come alla fine lo stesso filosofo Giorgio Agamben si sia espresso a favore di questa “secessione” sociale dalle logiche imposte dallo Stato e da altri gruppi dominanti.

Programmi identici
La battaglia per la libertà d’educazione, a ogni modo, può prendere molte e diverse strade. Da tempo, in effetti, vi sono gruppi politico-culturali volti a difendere la varietà delle identità e delle tradizioni della Penisola che sottolineano quanto sia assurdo che un ragazzo possa crescere a Napoli senza comprendere il ruolo degli Angiò oppure degli Aragonesi nella storia cittadina, oppure a Venezia senza sapere chi fu Marcantonio Bragadin o quale fosse il ruolo del Maggior Consiglio nelle istituzioni della Serenissima.

Lo Stato italiano produce programmi scolastici sostanzialmente identici dalle Alpi a Lampedusa, enfatizzando la storia nazionale a scapito di quella cittadina e regionale, ma anche di quella che riguarda il resto del continente e il mondo intero. In fondo, quanto tempo si debba dedicare alle diverse materie (e all’interno di un corso a questo o quel tema) dovrebbe essere deciso dalle scuole e dagli insegnanti, in piena libertà: senza alcuna imposizione ministeriale.

Un’evoluzione in tal senso esige un cambio di paradigma, il quale può avvenire anche gradualmente. In questo senso è da notare che anche al di là della homeschooling e del contrasto tra pubblico e privato in vari Paesi s’è compresa la necessità di avere istituzioni più libere di gestirsi, così da dare alle famiglie le risposte che s’attendono.

In tal senso è interessante l’esperienza delle “charted schools”, che ha preso piede non soltanto negli Usa, ma anche nel Regno Unito, in Svezia, in Finlandia e altrove (pur con talune differenze da una situazione all’altra). Si tratta di scuole pubbliche che godono di una particolare autonomia e a tal fine godono di statuti speciali. In sostanza, lo Stato finanzia questi istituti creati spesso da un gruppo di docenti sulla base del numero di studenti che li scelgono. Quando il progetto di questa scuola viene elaborato e riconosciuto, gli studenti possono frequentarla senza sostenere alcun onere economico e la scuola è finanziata in rapporto agli iscritti. La scelta dei docenti e dei programmi, comunque, è un affare dell’istituto, e il ministero non interferisce più di tanto. Com’è evidente, allora, le vie per una educazione più libera e plurale sono molte e differenti. È cruciale comprenderlo e iniziare a muoversi in quella direzione.

Da La Provincia, 28 agosto 2022

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