Emergenza profughi, il metodo svizzero

Regole ferree per chi sceglie di vivere nei cantoni e accoglienza garantita solo a chi ne ha diritto

6 Giugno 2016

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

L’Europa contemporanea sta fronteggiando tre differenti crisi: una di tipo istituzionale (legata alla tenuta dell’Unione, poiché vi sono forti spinte centrifughe e presto i britannici voteranno sull’ipotesi di una “Brexit”), una di tipo monetario e finanziario (connessa ai debiti pubblici e al tentativo di fronteggiarli con una politica espansiva: il cosiddetto “quantitative e asing”); e una di carattere immigratorio, poiché va crescendo la pressione alle frontiere da parte di popolazioni desiderose di lasciare Africa e Asia.

Le difficoltà sono in qualche modo intrecciate, sebbene presentino anche tratti specifici, ma sembra soprattutto sempre più urgente dare una risposta adeguata a questo terzo dramma legato a un flusso abnorme di migranti di varia origine che rischia pure di far saltare il mercato comune basti guardare quanto sta avvenendo al Brennero e ricostituire muri tra un Paese e l’altro. Chi voglia immaginare una politica che aiuti a gestire meglio questo massiccio arrivo di lavoratori e famiglie extracomunitari può trarre spunti di riflessione dal modo in cui il problema è affrontato in Svizzera, non fosse altro perché nella Confederazione elvetica ormai da molti anni abbiamo un’alta presenza di stranieri – all’incirca un quarto della popolazione – e limitate tensioni sociali. E se la Svizzera è da sempre piuttosto ospitale nei riguardi dei veri rifugiati, al tempo stesso ha regole molto severe in merito all’immigrazione ordinaria: per ragioni di lavoro, studio o altro.

Welfare state ridotto
Innanzi tutto va evidenziato che, sotto vari punti di vista, quello elvetico è un welfare State meno esteso. In Svizzera, ad esempio, non è così facile ottenere un appartamento di proprietà pubblica a canone agevolato, perché si ritiene che chiunque debba lavorare e trovare una casa sul mercato. Se qualche immigrato in Europa può pensare di andare in Italia o in Francia per vivere dell’elemosina di Stato, chi va in Svizzera di solito vuole trovare un lavoro. E questo è già un primo insegnamento.

Controlli serrati

Detto questo, è chiaro che quella elvetica è una società che permette redditi altissimi e che quindi attira moltissimi lavoratori. Per giunta, a seguito degli accordi con l’Unione, essa è ormai fondamentalmente aperta nei riguardi dei cittadini europei, ma continua a presidiare con attenzione le frontiere quando si tratta di extra-comunitari. È sufficiente attraversare il confine di Chiasso per constatare come i doganieri italiani siano essenzialmente preoccupati a controllare i flussi monetari, mentre i loro omologhi svizzeri concentrino le attenzioni sui soggetti non titolati a mettere piede in casa loro. Ogni amministrazione locale elvetica ritiene fondamentale sapere chi si trova sul proprio territorio e perché. Nel corso del tempo gli svizzeri hanno anche elaborato una serie di norme volte a gestire in maniera proficua questa voglia generalizzata di andare lì a vivere e lavorare. E l’hanno fatto valorizzando la loro peculiare struttura istituzionale. Il percorso che consente di ottenere permessi di lavoro, diritto a risiedere, tutele sociali e, infine, una piena cittadinanza è in effetti assai lungo e per nulla semplice. Normalmente bisogna vivere dieci anni nello stesso comune per poter chiedere di diventare svizzeri, ma in qualche caso possono essere di più. La richiesta viene valutata secondo regole che variano da cantone a cantone e comunque al termine del processo è necessario anche dare un contributo per le spese che l’amministrazione ha sostenuto. Prima di trasferirsi in Svizzera, ad ogni modo, bisogna trovare un lavoro e quindi ottenere il permesso di tipo B, che va rinnovato anno per anno. In questo periodo non ci si può assentare per più di sei mesi: è insomma necessario stare in Svizzera e diventare davvero parte di quella comunità.

In seguito (ma ci vogliono anni) si può avere anche il permesso C, che allarga i diritti e consente ad esempio di acquistare una casa e svolgere senza limiti un’attività indipendente. Le autorità devono infatti verificare che colui che vuole rafforzare la sua presenza non abbia problemi di ordine penale, debiti non rispettati o altro. È facile insomma comprendere come trasferirsi in Svizzera sia un percorso a tappe, che permette alla popolazione locale di conoscere i nuovi arrivati. In sostanza, le comunità elvetiche vogliono avere il tempo e il modo di valutare quanti intendono vivere tra loro. Gli svizzeri riconoscono che nessuna società può chiudersi del tutto, se vuole restare vitale, e al tempo stesso sanno bene che la propria economia può avvantaggiarsi dal fatto di attirare persone di qualità. C’è però bisogno di un filtro che funzioni in maniera adeguata e impedisca lo stabilirsi di soggetti indesiderati. È per questo motivo che, in queste faccende legate a residenza e cittadinanza, le funzioni e questo è punto essenziale sono tutte in mano a cantoni e comuni, ai quali viene chiesto di esaminare nel corso del tempo il comportamento dei nuovi arrivati.

Problemi e opportunità
In definitiva le norme sono piuttosto severe, vengono fatte rispettare con rigore, sono talvolta anche differenziate (in ragione della struttura federale) per rispondere a esigenze che mutano da area ad area, vengono gestite da enti vicini alla popolazione e quindi meglio informati. Per giunta, l’ordinamento a democrazia semidiretta fa sì che nella definizione delle regole e nella loro stessa applicazione si tenga conto delle esigenze della gente comune, che alla fine vota su ogni cosa. È di qualche settimana fa, ad esempio, la decisione popolare di un piccolissimo comune di montagna, Oberwil-Lieli, che ha preferito dare soldi al cantone di Argovia piuttosto che ospitare una decina di rifugiati. Il risultato di tale ordinamento è che chiunque arriva in Svizzera sa che deve attenersi a un comportamento di grande correttezza: pena l’espulsione o il mancato rinnovo del permesso a rimanere lì. Sono proprio tali criteri, accuratamente fatti rispettare, che hanno consentito un arrivo di stranieri tanto massiccio e che hanno limitato conflitti e drammatizzazioni.

In Svizzera, i patti sono chiari ed è più facile che l’amicizia sia lunga. Ed è per tali motivi che l’immigrazione non è solo e primariamente un problema, ma un’opportunità per tutti.

Da La Provincia, 5 giugno 2016

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