Finché si tratta di Putin e Gazprom l’esercizio è facile, ma dietro la corsa di gas e petrolio ci sono altri colpevoli insospettabili. Ora che anche gli operatori del settore sono stati assolti, la risposta è ancora meno scontata. E porta dritta ai Paesi produttori
È un caso da manuale di speculazione sui prezzi dell’energia, quello che va in scena sul mercato: la russa Gazprom, adducendo motivi tecnici («mente», afferma il premier Mario Draghi), taglia fino quasi a dimezzarle le forniture di gas a Germania e Italia, e in tre giorni di pura isteria il prezzo sale del 75%, con punte di 140 euro a megawatt. L’avvertimento all’Europa è: preparatevi a un inverno durissimo, e sappiate che i prezzi resteranno alti ancora a lungo. Ma non sempre è così semplice individuare colpevoli e mandanti di manovre speculative dietro i rincari folli dell’ultimo anno, addirittura il 300% per quanto riguarda il metano e il 50% per il petrolio. La spregiudicatezza con cui si muove Vladimir Putin rappresenta l’eccezione in una regola che dipende da infinite variabili, ma che alla fine risponde alla legge della domanda e dell’offerta.
La speculazione? Non cercatela qui. Certo è che, almeno in Italia, gli operatori dell’energia si ritrovano oggi quasi del tutto assolti dall’accusa di aver lucrato sul meccanismo dei prezzi. È l’assunto che anche il governo, un po’ come le associazioni dei consumatori, ha fatto proprio decidendo di introdurre il prelievo straordinario sugli extra-profitti, dal quale conta di ricavare 11 miliardi di euro. Dalle 40 pagine del Rapporto sul monitoraggio dei contratti di approvvigionamento destinati all’importazione di gas in Italia, appena inviato al Governo e al Parlamento dall’Arera, l’Autorità dell’energia, emerge però una realtà più complessa. I contratti che regolano tra il 70 e l’80% dei volumi di gas importati in Italia, infatti, «fanno riferimento a indici legati alle quotazioni di prodotti del gas scambiato su diversi hub all’ingrosso europei e nazionali, cioè l’olandese Ttf e l’italiano Psv. Il restante 20-30% dei contratti sono invece indicizzati alle quotazioni medie dei prodotti petroliferi, e quindi al Brent. C’è, scrive l’Arera, «una sostanziale coerenza tra i costi dei contratti di importazione attesi nel momento dell’ultima revisione periodica delle condizioni contrattuali e i prezzi di vendita attesi sulla base delle quotazioni forward nei mercati all’ingrosso».
Percorso a ritroso. «È la dimostrazione che la speculazione va trovata a monte, non a valle dei mercati all’ingrosso. Da lì in giù, non ha senso alimentare una caccia alle streghe, e mi sembra proprio che l’Arera abbia fatto chiarezza sul fatto che non esiste un mercato irregolare dove si compra a 10 e si rivende a 100. C’è da augurarsi che questo rapporto sui contratti gas diventi periodico, com’è già quello sul monitoraggio dei mercati retail», commenta Carlo Stagnaro, a capo del Dipartimento di studi e ricerche dell’Istituto Bruno Leoni. «Mi sembra inutile anche accanirsi su chi fa estrazione e produzione. Prendiamo il caso di Eni o di una qualunque major petrolifera. Nel 2020, con gli stessi costi di produzione di oggi, doveva accontentarsi di rivendere il petrolio a 20, 30 dollari al barile, col risultato di aver chiuso il bilancio in perdita (per 8 miliardi di euro, ndr). Oggi che quello stesso barile può rivenderlo ben oltre i 100 dollari, è ovvio che realizzi più margini, ma è la normale altalena del mercato. Prezzi così alti non sono indice di speculazione, ma di scarsità: servono ad attirare nuovi investimenti in esplorazione e ricerca. Solo quando l’offerta si sarà riallineata alla domanda vedremo calare i prezzi».
Seguendo il ragionamento di Stagnaro, il percorso a ritroso dal Ttf in su arriva fino ai Paesi produttori e alle loro scelte di tagliare la produzione di combustibili fossili. «Italia compresa, visto il freno che è stato imposto alle trivellazioni e quindi alla produzione nazionale di gas. E infatti adesso per mettere un primo stop alle bollette delle imprese, il governo ha deciso di tornare sui suoi passi e aumentarla di circa 2,5 miliardi di metri cubi», osserva Stagnaro. «Sta di fatto che il 2021 ha registrato contemporaneamente il picco di rincari delle commodity e il record negativo di nuove scoperte, mai così poche da 75 anni. Quindi se parliamo di speculazione, non dimentichiamo le responsabilità di chi ha disinvestito dal settore oil & gas».
Il monito della Russia. Per paradossale che sia, un monito ai mercati sulla volatilità dei prezzi arriva dalla Russia, da San Pietroburgo, dove si è concluso l’annuale Forum economico, il primo sotto sanzioni. «C’è grande turbolenza e incertezza dal lato dell’approvvigionamento energetico sul mercato», ha detto il vice primo ministro, Alexander Novak. «Persiste l’incertezza sulla ripresa della produzione in Iran, Venezuela, Libia. Mancano infrastrutture che consentano di utilizzare appieno le risorse energetiche e vediamo una diminuzione degli investimenti nel settore: significa che il deficit di offerta continuerà a pesare sul mercato».
Da MF-Milano Finanza, 18 giugno 2022