Ieri la Camera dei Deputati ha approvato un emendamento al Decreto Pnrr che rinvia, per l’ennesima volta, la liberalizzazione del mercato elettrico. Inoltre, come anticipato dal ministro Roberto Cingolani, si prevede il mantenimento della maggior tutela per i consumatori “vulnerabili”, definiti in modo piuttosto estensivo. Sarebbe riduttivo vederci solo un cedimento politico al Movimento 5 stelle, da sempre ostile alla concorrenza. E’ soprattutto una misura dannosa per i consumatori e per il paese.
Oggi, sono proprio le famiglie e le micro-imprese che usufruiscono della tariffa regolata a subire i rincari più selvaggi: nonostante le ingenti risorse già spese (4,7 miliardi di euro in due semestri) una famiglia in maggior tutela spende il 54,7 per cento in più di un anno fa. Quindi, per tutelare davvero i consumatori, bisogna anticipare, non posticipare, la fine dell’omonimo servizio. La controprova arriva dalla vicenda delle piccole imprese, che sono passate definitivamente al libero mercato la scorsa estate. Si legge, testualmente, nel rapporto dell’autorità per l’energia (Arera): “L’elevata partecipazione alle procedure concorsuali… ha a sua volta fatto emergere prezzi di assegnazione che, nella maggior parte dei casi… risultano più convenienti” rispetto alla maggior tutela.
Insomma: mai come oggi il nome “maggior tutela” è stato un caso istituzionalizzato di pubblicità non corretta. Per fortuna, non ha avuto seguito un’altra proposta che è circolata nei giorni scorsi, secondo cui gli sgravi per la bolletta del prossimo trimestre avrebbero dovuto essere riservati ai soli clienti tutelati. Sarebbe stata una manovra indifendibile dal punto di vista concorrenziale, e ingiusta da quello redistributivo. Non c’è alcuna evidenza che tali consumatori siano quelli che davvero si trovano in condizioni di bisogno: anzi, molti di loro potrebbero essere indifferenti ai prezzi. Semmai, gli sconti vanno concentrati sulle famiglie a basso reddito e sulle Pmi energivore, a prescindere dal tipo di contratto che hanno scelto per la fornitura elettrica (come d’altronde ha confermato ieri Mario Draghi alla Camera).
Ma è davvero surreale che, proprio nel momento in cui la politica si accorge che i clienti “tutelati” sono quelli meno tutelati di tutti, si voglia ancora una volta buttare la palla della concorrenza nella tribuna della regolamentazione. Oltre tutto, il completamento della liberalizzazione entro l’inizio del 2023 è un impegno esplicito che il governo ha assunto nell’ambito delle riforme del Pnrr. Non sarà facile la posizione di chi dovrà spiegare a Bruxelles che, nel nome di un “lip service” ideologico alla componente più retriva della maggioranza, si è preferito impegnare maggiori risorse pubbliche pur di rinviare la liberalizzazione e continuare a mantenere un servizio che infligge bollette più salate.
L’anno scorso, in un contesto di domanda a picco e prezzi molto bassi, si fece una grande bagarre per il fatto che i contratti sul libero mercato (molti dei quali a prezzo fisso) erano mediamente più cari dei prezzi “tutelati”. Oggi ne scopriamo il motivo: queste persone, oltre alle forniture, hanno comprato una sorta di assicurazione contro gli aumenti. Forse non erano così fessi come li si voleva rappresentare. Anziché prorogare un meccanismo obsoleto e inefficiente, dovremmo mantenere le promesse che ogni anno ribadiamo e con puntualità disattendiamo. Adesso più che mai, la liberalizzazione coniuga l’interesse dei consumatori, quello del paese e quello della finanza pubblica. E’ il momento di scrivere il capitolo conclusivo di una saga decisamente troppo lunga: se non ora, quando?
da Il Foglio, 16 dicembre 2021