Il governo ha prorogato fino all’8 luglio il taglio delle accise sui carburanti, portandolo da 25 a 30 centesimi, e confermato gli “sconti” sulle bollette elettriche per famiglie e imprese. Contemporaneamente ha allungato i termini del superbonus al 110% e sembrerebbe intenzionato a incrementare dal 10 al 25 per cento l’aliquota dell’imposta straordinaria sulle società energetiche.
Non saremmo certo noi a lamentarci per degli sgravi fiscali, se non ci fossero di mezzo molti “se” e molti “ma”. Che riguardano sia il merito, sia il metodo. Per quanto riguarda il merito, l’esecutivo mette sul piatto altri 14 miliardi di euro, solo in parte compensati dal maggior gettito fiscale. Ma, soprattutto, l’intervento sui prezzi dell’energia continua a mancare di quei criteri di selettività che, a un anno dalla prima manovra sulla bolletta nel maggio 2021, appare ormai non più prorogabile. E’ certamente vero che i rincari mettono in grave difficoltà famiglie e imprese: ma prima o poi bisognerà venire a patti con le loro cause, che vanno cercate nell’insufficienza dell’offerta dei prodotti energetici. Semmai, i governi europei (non solo quello italiano) dovrebbero smetterla di alimentare incertezza sui mercati: o si procede verso l’embargo sull’oil & gas russo, oppure si sgombra il tavolo da tale ipotesi. Continuare ad agitare la minaccia serve solo a mettere i mercati in fibrillazione e gonfiare i prezzi delle commodity.
Oltre a questo, c’è una contraddizione evidente nell’operato del governo: da un lato mette le briglie agli aumenti dei prezzi, seguendo l’assunzione implicita che non bisogna comprimere i consumi oltre un certo livello. Dall’altro allude a interventi di razionamento amministrativo, che per definizione rappresentano un metodo inefficiente di riduzione della domanda. Dall’altro ancora introduce misure capestro, come la strombazzata riduzione dei consumi della PA, che sono destinate a produrre risparmi irrisori. Infine, dopo aver incoraggiato (a parità di altri elementi) il consumo di energia, sussidia addirittura al 110% i lavori di efficientamento energetico degli edifici, mantenendo in essere quella che lo stesso premier Draghi aveva definito una misura iniqua e truffaldina. Da ultimo, tassa i ricavi delle società energetiche come se questo, oltre a essere palesemente incostituzionale, non fosse anche controproducente in quanto deprime la capacità di investire proprio di quelli dai quali ci si aspettano sforzi maggiori per riallineare l’offerta alla domanda di energia.
Nel metodo, poi, il governo continua a licenziare provvedimenti disordinati e incoerenti: alzi la mano chi è in grado di ricostruire quali e quanti decreti in materia energetica sono stati emanati negli ultimi mesi. Alzi la mano chi è in grado di trovarvi un comune denominatore. Alzi la mano chi pensa che, dopo dodici mesi dalla presa d’atto della stretta energetica e a due mesi dall’invasione dell’Ucraina, sia possibile procedere ancora sulla scorta dell’emergenza se non addirittura del panico.
Intendiamoci: alcuni provvedimenti sono condivisibili. E’ il caso del potenziamento del bonus sociale per le famiglie a basso reddito, del credito d’imposta per le imprese ad alto consumo di energia, delle deroghe per le centrali a carbone e delle semplificazioni per le rinnovabili. Ma tutto ciò si inserisce in un quadro di confusione che rende impossibile cogliere la lettura che il governo dà della situazione e la via che intende perseguire per cavarci d’impaccio, affrontando i problemi di breve e di lungo termine.
L’antico adagio di pensare prima di parlare vale ancor di più quando si tratta di scrivere le leggi.
3 maggio 2022