Come deve essere ripartito tra editori e piattaforme online il valore creato dalla diffusione dei contenuti dei quotidiani su internet? E’ una domanda complessa e su cui i rappresentanti dei vari interessi in campo si scontrano da anni. Da un lato, gli editori della vecchia carta stampata rivendicano la paternità dei contenuti e lamentano che essi siano in qualche modo appropriati dalle big tech. Dall’altro, queste ultime obiettano che è solo grazie alla visibilità creata su internet se tali contenuti hanno una circolazione molto più ampia che in passato. A questo conflitto l’Italia ha provato a dare una risposta dirigista: nel contesto del recepimento della direttiva europea sul copyright, l’allora ministro della Cultura, Dario Franceschini, aveva assegnato al Garante della comunicazione l’onere di stabilire la dimensione delle relative fette. Per fortuna, l’Agcom ha dato seguito a tale obbligo riportando il mercato al centro.
Il regolamento approvato la settimana scorsa poggia su due pilastri fondamentali. In primo luogo, individua come base di calcolo “i ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, al netto dei ricavi dell’editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dal prestatore”. In altre parole, non ha una visione semplicistica e unidirezionale del comportamento delle persone in rete: se le piattaforme beneficiano dei contenuti degli editori, anche questi ultimi traggono vantaggio dal traffico generato dalle piattaforme. All’interno di tale perimetro, l’Agcom invita piattaforme ed editori a tentare di accordarsi tra di loro, senza tirare il regolatore per la giacchetta. La quota dei ricavi delle piattaforme attribuibili all’editore potrà essere liberamente stabilita fino a un massimo del 70 per cento della base di calcolo. Anche qui, l’orientamento del Garante è quindi quello di garantire massimo spazio di negoziazione, senza imporre una forchetta troppo stretta. Solo se sarà impossibile trovare un compromesso tra privati, allora entrerà in campo l’Autorità, che dovrà determinare l’equo compenso sulla base di una serie di criteri, anch’essi stabiliti all’interno del regolamento.
Il regolamento, nel complesso, risponde alle richieste degli editori e alle preoccupazioni delle piattaforme trovando un equilibrio che si fonda sulla scelta esplicita di passare in secondo piano rispetto al mercato. Molto è ancora da fare e a farlo dovranno essere le varie parti in commedia, a cominciare dai veri creatori dei contenuti, i giornalisti, che sono i primi a cercare modelli di business diversi che consentano di finanziare un lavoro di qualità, cosa sempre più ardua con la crisi di credibilità e vendite degli editori tradizionali. La speranza è che un primo passo possa essere fatto, con editori e piattaforme che concludono accordi ritenuti mutuamente vantaggiosi. La funzione sussidiaria dell’Autorità presieduta da Giacomo Lasorella andrà così attivata solo in casi estremi. Va reso merito all’Autorità di avere fatto un saggio passo di lato, lasciando spazio alle negoziazioni fra gli attori coinvolti e senza pretendere di avere assi nella manica, per risolvere un problema annoso eppure urgente. Un regolatore che non prova a far quadrare il cerchio è, di per sé, una buona notizia.
24 gennaio 2023