Di sicurezze, in questi giorni, ce ne sono poche. Solo col tempo faremo i conti con tutte le conseguenze del nuovo coronavirus. Tra gli effetti economico-politici sul nostro Paese, alcuni sono però probabili fin da ora.
Il primo è che questa emergenza sanitaria possa rappresentare un buon motivo per il governo per dire di non aver potuto raggiungere gli obiettivi attesi di crescita e consolidamento dei conti pubblici. L’impatto economico del diffondersi del virus e delle conseguenti scelte politiche per arginarlo potrà rendere ancora più complesso distinguere le cause della nostra situazione economica e giudicare l’azione del governo e la sua credibilità rispetto alle vecchie promesse. Tanto più se dovesse emergere che l’impatto economico del coronavirus non è indipendente dalla modalità – più o meno maldestra – con cui lo si è affrontato.
Il secondo è che la necessità oggettiva di far fronte al virus ha un costo elevato, sia in termini di spesa per l’emergenza sanitaria, sia per gli interventi per tentare di ridurne i contraccolpi economici. In un paese che non ha mai voluto fare revisione della spesa e prendere sul serio il problema del debito pubblico, questo costo è capace di modificare in maniera rilevante i saldi e peggiorare la sostenibilità delle già precarie finanze pubbliche.
Se tutti i paesi sono a rischio economico per il diffondersi del Covid-19, quelli più fragili lo sono ancora di più. La crescita del Pil globale è stimata, considerando gli effetti del nuovo coronavirus, a 2,4%. Quella italiana è già in territorio negativo. Come un cane che si morde la coda, in una situazione economica critica, la necessità di far fronte a spese straordinarie per finanziarie il costo sanitario e per ammortizzare l’impatto del virus non potrà che aggravare la situazione.
L’Italia ha già invocato la situazione sanitaria per una maggiore flessibilità sui conti da parte dell’Unione europea, che gli verrà verosimilmente accordata.
La scelta, in sé, appare anche comprensibile: la spesa pubblica serve per affrontare spese irrinunciabili, per servizi irrinunciabili. In momenti di maggior bisogno di quei servizi, che le spese aumentino è più che prevedibile. Proprio per questo, è importante tenere i conti in ordine. Dopo anni in cui la revisione della spesa andava di moda, almeno a parole, gli ultimi due governi hanno completamente ribaltato il discorso, facendo della spesa corrente il mantra politico e l’esca elettorale.
E invece, nella concitazione del momento, aver chiesto maggiore flessibilità a Bruxelles è un ulteriore rischio nell’incertezza. Da un lato, c’è un pericolo sostanziale di peggiorare i conti pubblici. Non è “colpa” del virus né di chi ha in carico il servizio e la spesa sanitaria. È però responsabilità del governo saper far fronte ai momenti di crisi o di difficoltà facendo trovare i conti in ordine al momento di maggior bisogno. Il nostro paese non si è fatto trovare preparato e questo non va dimenticato quando sarà passata l’emergenza e si dovrà fare fronte alle spese già sostenute con interventi di ripianamento.
D’altro lato, l’ennesima richiesta di flessibilità per motivi eccezionali e imprevisti, per un paese che è abituato a invocarli anche laddove non oggettivi, rischia di essere una sorta di grido “al lupo al lupo”. La flessibilità, in questo caso verrà accordata, ma la credibilità di un paese che ha sempre un motivo per invocarla rischia di essere compromessa anche quando quel motivo è reale.
Infine, dal momento che la via più facile per recuperare parte delle risorse che servono oggi per far fronte all’emergenza sanitaria è chiedere soldi ai contribuenti, sarà bene che l’opinione pubblica si ricordi che oltre all’aumento delle tasse (presenti o future) esiste la riduzione delle spese. Non vorremmo fare la voce di Cassandra ma, se non reale, è verosimile che, considerato il governo in carica, far fronte alla maggiore necessità di spesa potrà essere la scusa non solo per chiedere a Bruxelles di esser più benevola, ma anche agli italiani di aprire il portafogli.
3 marzo 2020