7 Giugno 2019
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
In quanto esseri umani, siamo tutti portati a essere vicini al prossimo: a partecipare alle sue sofferenze e condividerne le emozioni. Con il termine “empatia” si indica proprio questa nostra capacità di sentire assieme, riconoscendosi nell’altro e avvertendolo simile a noi. In tutto ciò vi è qualcosa di molto umano, prezioso, fondamentale. Eppure anche in tale nobile attitudine ci può essere un tratto negativo o, quanto meno, pericoloso. Insiste molto su questo tema un volume di Paul Bloom intitolato “Contro l’empatia”, edito in Italia delle edizioni Liberilibri, nel quale l’apprezzato psicologo statunitense evidenzia soprattutto come ognuno di noi debba saper gestire in maniera razionale i propri sentimenti. È quindi un’ottima cosa scoprire nell’altro qualcosa di noi stessi e partecipare a quanto egli sente, ma solo se si tratta del punto di partenza di un processo che ci porti ad aiutarlo con efficacia.
Mix di suggestioni
Quello che in queste pagine lo studioso americano sottolinea a più riprese, in effetti, è che troppo spesso rischiamo di fare errori perché siamo dominati da un mix di impressioni, percezioni, suggestioni. Quando siamo di fronte a un’azienda che rischia di lasciare a casa cento dipendenti e siamo messi al corrente delle difficoltà che stanno per conoscere quelle famiglie, siamo immediatamente portati a dare ragione a chi chieda che vi sia un intervento pubblico volto a impedire la chiusura dell’impresa.
Bisognerebbe però domandarsi, tra le altre cose, se destinare risorse al salvataggio di un centinaio di impieghi visibili non comporti, quale prezzo, la distruzione di duecento posti di lavoro in altri settori; e bisognerebbe anche domandarsi come si comporteranno gli altri imprenditori in un quadro che renda impossibile, o quasi, il fallimento. Adottare una decisione, in molti casi, significa anche definire una regola e in un caso come questo deve essere chiaro a tutti come una scelta di quel tipo diriga verso una crescente deresponsabilizzazione di tutto il mondo del lavoro.
In fondo, è un antico detto popolare quello che recita che “il medico pietoso fa la piaga verminosa”. È vero che l’incontro con un’altra persona ci mette a contatto con qualcuno che – al tempo stesso – è come noi e diverso da noi. Il punto di partenza dell’esistenza morale, sotto certi aspetti, è proprio qui: in questo riconoscere un’umanità che ci è simile e differente al contempo. Secondo Bloom, però, questo è soltanto il punto di partenza.
Fini e mezzi
Il passo successivo, egli evidenzia, consiste nel saper essere seri. Il che vuol dire soprattutto mettere in relazione i fini e i mezzi, riuscendo a individuare la strategia più adeguata al raggiungimento dell’obiettivo che vogliamo conseguire. Questo vale in società come in famiglia, perché è chiaro che quando si ama un figlio bisogna essere sufficientemente forti da riuscire, in certe circostanze, a saper dire di “no”. Ben sapendo che quella risposta lo farà soffrire.
Bloom sviluppa una riflessione articolata per farci comprendere che non c’è umanità senza sentimenti, ma è egualmente vero che i sentimenti vanno amministrati, gestiti, correttamente incanalati. Un chirurgo che non sappia tenere una certa distanza emozionale tra sé e la persona che deve operare difficilmente avrebbe la lucidità necessaria ad agire in maniera adeguata. E nel testo si citano anche alcune dichiarazioni di medici che per anni si sono sentiti in colpa a causa del loro sforzo di contenere l’empatia, quando nei fatti stavano soltanto cercando di proteggersi, salvando in tal modo la loro capacità di aiutare al meglio i malati.
Come sottolinea Michele Silenzi nell’introduzione al testo, «l’empatia gioca un ruolo cruciale nella fruizione dell’arte e, talvolta, nei rapporti intimi». Purtroppo, però, essa può porre problemi quando «viene usata per capire e prendere decisioni attorno a casi più complessi, che sono poi i casi politici, sociali, economici». L’analisi di Bloom, che muove dalla psicologia per indagare l’insieme delle relazioni umane, conduce quindi il lettore a comprendere che la dimensione etica della nostra esistenza non è riducibile alle emozioni e neppure alla volontà. Oltre a tutto ciò vi è l’esigenza di usare la ragione, che ha il compito di tenere a freno quelle che un tempo erano dette “passioni”.
Generosi e responsabili
Neppure Bloom giunge davvero a sostenere che l’empatia sarebbe in sé dannosa e che le emozioni andrebbero evitate. Sotto vari punti di vista, noi siamo i nostri sentimenti e le nostre affezioni. Se però vogliamo essere al tempo stesso generosi e responsabili, e se quindi vogliamo davvero condurre una vita buona, non possiamo abdicare di fronte alla razionalità. Anche perché, in troppi casi, i nostri slanci incontrollati sembrano voler soddisfare più di ogni altra cosa il nostro desiderio di autostima, senza farsi troppe domande su quali siano realmente le esigenze dell’altro.
Anche essere buone persone, insomma, è un qualcosa che si impara: usando nel migliore dei modi la nostra intelligenza.