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Un governo che si limita a scrivere di divieti e pene è un governo che ha una concezione solo a metà della sicurezza


17 Dicembre 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Impossibile essere più efficaci di Vasco Rossi nel commentare le nuove regole del codice della strada. Per chiederselo allora col noioso linguaggio dei legulei, la domanda è quanto sia efficiente alzare l’asticella della punibilità e aumentare le pene, rispetto all’obiettivo di garantire «strade più sicure», promesso dal ministro Salvini. E dubbio che il maggior rigore possa tradursi in maggior sicurezza, per ragioni che attengono alle effettive possibilità di controllo e, in generale, all’uso della giustizia penale come deterrente di comportamenti sbagliati. La realtà però è un dettaglio se l’obiettivo da raggiungere è passare per proattivi, non riuscendo ad essere efficienti. Per questo, in tema di sicurezza l’attivismo dei governi va più nella direzione di fare un po’ nel molto che bene nel poco: sulla carta, molte più sanzioni, molti più divieti, molti più reati.

La sicurezza si lega quindi a una illusione salvifica del diritto penale, come se al solo scrivere «reato» e «pena» il mondo diventi un posto migliore. In due anni di mandato, questo governo ha istituito una settantina di nuovi reati per 417 anni di carcere in più, secondo un conteggio pubblicato sul Foglio. A volte lo ha fatto – e a onor del vero non è stato il primo – a seguito di isolati ma noti episodi di cronaca, dai rave party all’imbrattamento di opere d’arte. Altre volte, per criminalizzare comportamenti che la destra ritiene sbagliati, come nel caso della maternità surrogata o di condotte connesse all’immigrazione clandestina.

Con le nuove disposizioni sul codice della strada, il governo Meloni conferma un metodo securitario consolidato in anni di diffusa insicurezza percepita. Tutti vorremmo che le nostre strade fossero sicure, come ha chiosato Salvini. Bisogna però intendersi su cosa voglia dire sicure. Per evitare alle persone che hanno bevuto un bicchiere in più o hanno tirato fino a tardi di mettersi alla guida, sicurezza vuol dire, oltre che controlli, anche un ampliamento delle possibilità di non doversi mettere alla guida.

Un integrato trasporto pubblico notturno in questi casi è fondamentale. Per non fare tardi al lavoro e iniziare le riunioni al telefono mentre si guida, sicurezza vuol dire avere un servizio urbano efficiente. In generale, per milioni di cittadini che ogni giorno, soprattutto nelle grandi città, affrontano le strade come si affronta una giungla, è probabile che «sicure» voglia dire qualcosa di più di quello che intende Salvini. E anche avere la certezza di trovare un taxi o quantomeno un’alternativa ad esso (si legga: un Ncc); non dover affrontare un venerdì sì e l’altro pure uno sciopero generale del trasporto pubblico; avere la garanzia del rispetto dei contratti di servizio da parte delle società che, spesso in house, lo gestiscono; confidare nella puntualità degli orari. Avere, insomma, una sicura e valida alternativa ai mezzi propri.

Milei è stato accolto come una star ad Atreju, ospite di una Giorgia Meloni che lo ha presentato come l’artefice di una vera e propria rivoluzione culturale in Argentina. Tra gli elementi di questa rivoluzione, vi è la recente liberalizzazione del servizio taxi. Da noi, nel frattempo, i ministri Salvini e Piantedosi hanno firmato un decreto – già parzialmente sospeso dal Tar – che limita ulteriormente l’attività degli Ncc, imponendo loro un obbligo di pausa di 20 minuti tra una corsa e l’altra. La sicurezza stradale è un bene essenziale. Ma non si risolve solo attraverso divieti e sanzioni. Bisogna anche che il governo, magari prendendo sul serio la rivoluzione di Milei, guardi all’altra faccia della medaglia e consenta alle persone di circolare e organizzare i propri spostamenti liberamente, senza restare preda delle inefficienze e delle rendite di posizione. Un governo che si limita a scrivere di divieti e pene è un governo che ha una concezione solo a metà della sicurezza.

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