FED e BCE, il grande paradosso dei bilanci pieni di bond

Il rialzo dei tassi d'interesse rischia di avere un effetto boomerang, visto che gli attivi sono pieni di titoli di Stato

27 Marzo 2023

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Politiche pubbliche

Alla fine le banche centrali sono, in qualche modo, nella stessa situazione della Svb. Come gestiranno le minusvalenze dei titoli obbligazionari che valgono meno?

Per salvare le banche, le banche centrali forniscono loro liquidità. Ma così si finisce per alimentare l’inflazione. Di fronte alla scelta fra due mali, per quale propenderanno? La metafora è usurata, ma nelle crisi finanziarie il rischio spesso è davvero quello di guardare il dito e non la luna. Di concentrarsi sui problemi di breve termine, quelli che calamitano l’attenzione dell’opinione pubblica. L’instabilità che si accompagna alle turbolenze di mercato suscita la preoccupazione dei risparmiatori e la discesa in campo di gruppi influenti, a cominciare dai grandi operatori finanziari, che spingono perché si aprano i rubinetti della liquidità. Questo, a inizio 2023, significa diluire nel tempo le operazioni di rialzo sui tassi d’interesse, necessarie per mettere la mordacchia all’inflazione. Che ciò avvenga è pressoché inevitabile.

Un’inflazione a due cifre morde il reddito disponibile, colpisce soprattutto le fasce più fragili della popolazione. Ma i danni dell’inflazione sono diluiti nel tempo, non si fanno sentire uniformemente nella società, l’impressione è sempre che i prezzi crescenti siano un fenomeno temporaneo e contingente, causato da questo o quell’evento particolare che riduce l’offerta, e dunque che possano essere facilmente riassorbiti. Invece i fallimenti bancari finiscono in prima serata e la paura può diffondersi capillarmente in pochissimo tempo. Di qui la decisione, scontata, degli istituti di emissione. Dal 2007/2008, abbiamo, con questo canovaccio, una certa familiarità. Il problema è che ora lo si recita in un teatro diverso. Federal Reserve e Banca Centrale Europea hanno espanso il proprio bilancio negli ultimi anni, diventando sostanzialmente le obbligazioniste di ultima istanza del mondo occidentale. In qualche modo, il loro portafoglio somiglia a quello di Silicon Valley Bank.

La banca californiana è finita in bancarotta perché le iniezioni di liquidità per contrastare la pandemia avevano fatto lievitare i depositi. Gli amministratori dovevano impiegare quei fondi e scelsero di fare ampi acquisiti di attività considerate poco rischiose dal regolatore: titoli di Stato e obbligazioni immobiliari a lunga scadenza. Con l’aumento dei tassi di interesse gli investitori hanno cominciato a richiedere nuovi bond, che rendessero di più, e il mercato obbligazionario ha visto una brusca battuta d’arresto. Le obbligazioni a tasso fisso costituivano il 60% del portafoglio di Svb e il loro valore di mercato è sceso in pochi mesi. I correntisti, spaventati dalla possibile crisi di solvenza, hanno alzato le tende.

Ora, quali sono le grandi istituzioni finanziarie il cui bilancio somiglia a quello di Svb? Le banche centrali. Gli attivi a bilancio della Fed sono 5,76 trilioni di titoli di Stato americani e 2,72 trilioni di mortgage-backed securities, ovvero di titoli garantiti da ipoteca. Il grosso degli attivi della Bce sono titoli denominati in euro emessi da residenti nell’area dell’euro (5,1 trilioni), di cui la maggior parte sono «titoli detenuti per politica monetaria»: cioè, di nuovo, titoli di Stato e titoli obbligazionari.

Con il quantitative easing, che ha portato a questa dilatazione dei loro bilanci, gli utili delle banche centrali sono cresciuti anch’essi a dismisura, e in diversi modi esse li hanno riversati ai rispettivi Stati. Ma quando i tassi d’interesse salgono, il valore di tali obbligazioni scende. Questo crea un conflitto d’interesse. Immaginiamo che le banche centrali continuassero ad alzare i tassi, per combattere l’inflazione, come auspica pressoché in solitudine il presidente della Bundesbank Nagel. L’esito sarebbe probabilmente quello di continuare a erodere il loro capitale. Per quanto sia astrattamente possibile per una banca centrale operare senza capitale, è improbabile che i banchieri centrali si mettano in fila per fare l’esperimento. La situazione era chiara sin da prima del fallimento di Svb. Come scrivevamo su queste colonne lo scorso 7 novembre, il Tesoro inglese ha già cominciato a palesare i trasferimenti alla Bank of England, necessari per tamponarne la capitalizzazione, alla luce delle perdite registrate (altre sono attese per gli anni a venire). Ma forse non era chiara la proporzione del fenomeno.

Si dirà: poco male, innanzi a problemi di bilancio a differenza delle banche private gli istituti di emissione possono stampare tutta la moneta di cui hanno bisogno. Questo è senz’altro vero, ma ha delle conseguenze. Una è il deprezzamento della moneta. Immaginiamo di avere a che fare con una banca centrale claudicante, appesantita dalle perdite, che si mette a stampare moneta per dare ossigeno a se stessa. Se fossimo nel credito «privato», i depositanti scapperebbero. L’equivalente, in questo caso, è la fuga non agli sportelli ma dalla moneta: la scelta di altre valute per mantenervi i propri risparmi e per fare operazioni d’impresa.

E’ fantascienza, dal momento che stiamo parlando di Bce e Fed? Forse sì, ma la probabilità, pur remota, di uno scenario del genere è ben più elevata di quanto non fosse due anni fa. Di solito questi scenari si realizzavano in America Latina, dove le persone fuggono dalle monete rischiose riempiendosi di dollari. Non è detto che quanto sta avvenendo qui non rafforzi, sul piano finanziario, i Paesi emergenti, agevolando quella migrazione ad Est di cui si parla da decenni ma che per ora è rimasta un mero scenario. E non è detto che i singoli non possano cercare strumenti differenti: dall’oro alle criptovalute, oggi in crisi. Le banche centrali potrebbero essere presto innanzi a un bivio: salvare i loro asset o giocarsi la loro credibilità.

da L’Economia del Corriere della Sera, 27 marzo 2023

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