Ferrero: “Chi produce ricchezza torni al potere”

Intervista (impossibile) a uno dei principali intellettuali europei degli ultimi anni del XIX secolo, firma del “Giornale degli economisti”

9 Aprile 2014

Linkiesta.it

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Professor Ferrero, da storico del mondo antico e analista delle società moderne Lei si è molto occupato di quelle fasi che vedono una società entrare in crisi. Come legge il momento attuale dell’Europa e dell’Italia?
Guardando la storia antica e quella moderna risulta chiaro come i sistemi sociali entrino nella loro crisi più profonda quando il potere fa fatica a trovare una sua legittimazione: quando coloro che comandano non appaiono veramente legittimi e, nei loro comportamenti, non fanno molto per apparire tali. Le società di tradizione europea mi pare che oggi siano in enorme difficoltà in primo luogo per questo: perché in termini retorici esaltano la libertà individuale ma poi, nei fatti, operano in maniera molto aggressiva nei suoi riguardi, con tassazione e regolazione.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento Lei aderì a orientamenti molto liberisti, esprimendo una forte avversione per la crescente presenza del potere statale nella vita economica. Come vede la trasformazione che ha avuto corso nell’ultimo secolo?
Quando vide la luce il gruppo di cui facevo parte, quello dei “liberisti radicali”, l’azione di intralcio del governo nel libero gioco del mercato era di scarso rilievo rispetto a quanto non sia oggi. Noi abbiamo avuto una certa chiaroveggenza, ma nessuno – in tutta onestà – poteva prevedere quello che sarebbe successo. Non c’è da stupirsi, allora, se ora siamo vicini a un collasso.

In che senso “collasso”? Cosa riconosce di particolarmente negativo e perfino di disastroso nei sistemi sociali dell’Occidente contemporaneo?
Mi pare che molte delle critiche che muovevo allo Stato tendenzialmente autoritario e fiscalmente oppressivo di un secolo fa oggi possano essere riproposte e con maggiore forza. La nostra società è sempre governata da classi che non rappresentano il lavoro produttivo ed è per questo che abbiamo un governo ladrone e mecenate, che allo stesso è spogliatore ed elemosiniere. Un governo che toglie per dare, costruendosi clientele e dissolvendo la libertà di tutti. Un secolo fa, tra l’altro, si poteva opporre un modello più statocentrico e bismarckiano a uno più liberale, anglosassone, pluralista. Ora mi pare che anche Regno Unito e Stati Uniti si siano molto uniformati alle logiche prevalenti.

Lei fu molto critico nei riguardi dell’espansione degli apparati burocratici e nella loro crescente influenza. È ancora di questo avviso?
Più che mai. Quando parlavo della crescente centralità dell’apparato amministrativo-burocratico e della marginalizzazione dell’istituto parlamentare, parlavo ancora di un mondo che precedeva il welfare state e la conseguente statizzazione di ambiti cruciali: sanità, educazione, previdenza e via dicendo. Oggi la burocrazia statale sindacalizzata ha un potere assai superiore a quello che poteva avere allora.

Il risultato è che non abbiamo crescita…
Non abbiamo crescita perché la quota parassitaria della società si è dilatata a danno di quella produttiva. Questo squilibrio tra produttori netti e consumatori netti di ricchezza è sempre letale. E poi non esiste più la convinzione che ci si debba impegnare per un futuro di sviluppo.

Cosa intende dire?
Al mio tempo era opinione piuttosto condivisa che una società dovesse aiutare il miglioramento delle condizioni di vita e che la modernizzazione potesse servire a tale obiettivo. Con molti altri, ero tra coloro che riconoscevano l’importanza di valicare le colonne d’Ercole, valorizzando l’etica del sacrificio, lo spirito d’intrapresa, la cultura del lavoro e i processi d’industrializzazione. Oggi una cultura prevalente variamente ecologista e “decrescista” si oppone a tutto ciò, e con un certo successo.

Una cosa però forse si può dire, e cioè che la battaglia di voi “liberisti radicali” contro il protezionismo può considerarsi vinta.
Non proprio, dato che è pur vero che gli Stati nazionali in Europa oggi non adottano rilevanti misure protezionistiche, ma al tempo stesso è quanto mai protezionista l’Unione europea: una vera e propria fortezza che in taluni settori, si pensi all’agricoltura (ma non solo), ha elevato altissime barriere a danno del Terzo Mondo, dei consumatori e anche di quelle imprese che – entro un mercato libero – potrebbero rifornirsi assai meglio.

La vostra Lega antiprotezionista, che più di un secolo fa schieraste contro i dazi e le dogane, non riuscì davvero a portare dalla propria i ceti popolari e a rendere condivise dai più le tesi liberiste. Anche oggi, in Italia, non si vedono realtà politiche di vaste dimensioni schierate a tutela dei diritti di proprietà e del mercato. Per quale ragione tutto questo?
Credo che i sistemi democratici siano facilmente catturabili dai maestri in demagogia e dai manipolatori del consenso. Oggi come ieri, chi promette qualunque cosa (anche scaricando i costi sulle generazioni a venire) ha la meglio su chi prova a ragionare. La politica è quell’ambito in cui ogni idea di “limite” viene meno, in cui ci si illude che ogni risultato possa essere facilmente raggiunto e anche senza sforzo, in cui si finisce per immaginare un’esistenza senza rischi. In questo quadro il realismo degli economisti liberali non trova ascolto, e le conseguenze si vedono.

Chi è Guglielmo Ferrero
Guglielmo Ferrero (1871-1942), sociologo, storico, romanziere ed estensore del manifesto della Lega antiprotezionista, è stato uno dei principali intellettuali europei della sua epoca. Negli ultimi anni del XIX secolo, dopo essere stato radicale e socialista, si avvicinò al “Giornale degli economisti” diretto da Antonio De Viti de Marco. Fu allora che portò a maturazione la sua adesione al liberismo.

Nella prima uscita della collana in eBook “Liberismi italiani”, dal titolo “Guglielmo Ferrero antiprotezionista”, vengono raccolti alcuni degli scritti più significativi di Ferrero, pubblicati tra il 1894 e il 1914, dai quali emerge con grande chiarezza la sua impostazione favorevole al libero scambio e la sua avversione verso politiche doganali di stampo protezionistico. L’antologia dei testi è anticipata da un saggio introduttivo di Luca Tedesco.
La collana “Liberismi italiani” origina dalla consapevolezza che la crisi delle tradizionali culture politiche può aprire, anche e soprattutto nel nostro Paese, stagioni di “riscoperta” di filoni, esperienze culturali, singole figure intellettuali minoritarie o ghettizzate dalle grandi centrali ideologiche novecentesche. L’obiettivo della collana è quello di mettersi sulle tracce, nelle vicende nostrane otto e novecentesche, di quei “liberismi italiani” che rifiutarono di concepirsi come teorizzazioni di uno Stato al servizio di interessi particolari e di spacciare questi ultimi come generali.

Da Linkiesta.it, 8 aprile 2014

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