File al parco per prendere l'acqua di rubinetto

Ma il vostro comune spende 30 mila euro più altri 6 mila euro l'anno per vendervi a un prezzo dieci volte superiore la stessa acqua

16 Luglio 2014

Libero

Luciano Capone

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Libero anticipa l’inchiesta di Luciano Capone per l’Istituto Bruno Leoni dal titolo “Limpido come l’acqua. Il lato oscuro delle «case dell’acqua»“.

Per circa duemila anni le persone si sono approvvigionate di acqua in luoghi pubblici come fiumi, laghi, sorgenti o pozzi e fontane. A partire dal dopoguerra la distribuzione dell’ acqua potabile è giunta in ogni singola casa, comportando un declino di fontane e fontanini. Negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza, con una rapida propagazione negli spazi pubblici delle “case dell’acqua”, discendenti delle vecchie fontane. Questi impianti distribuiscono acqua proveniente dall’acquedotto attraverso appositi erogatori con in aggiunta la possibilità di refrigerarla o renderla frizzante. Si è passati dalle 354 nel 2011 alle 817 nel 2013. Sono tutti impianti costruiti con fondi pubblici, erogati da Regioni, Province e Comuni, o in alcuni casi alle Autorità di ambito (Ato) o dalle multiutility controllate dagli enti locali. La regione con il più alto numero di installazioni è la Lombardia (circa i1 47%) grazie a un investimento regionale di 800.000 euro solo nel 2011, provvedimenti simili sono stati adottati anche dalla Campania. Altre volte dagli ATO (autorità di ambito ottimale) e si tratta di cifre tutt’altro che trascurabili: l’Ato del Sele con una delibera del 2012 ha destinato alla costruzione di case dell’acqua un importo di 380 mila euro, la cosa sorprendente è che, secondo i dati sulle perdite idriche, l’area del Sele è tra quelle con le performance peggiori, con perdite che sfiorano i170%. Oltre agli Ato, molto attive nel finanziare le case dell’acqua sono anche società pubbliche come Hera, Iren, Cap Holding e altre multiutility. Solo la Cap Holding, che opera nella provincia di Milano, nel corso del 2012 ha inaugurato 15 nuove case dell’acqua, per 325 mila euro e speso per “interventi su impianti e case dell’acqua” altri 167 mila euro. Bisogna considerare che ogni installazione ha un costo medio di 30 mila euro, quindi per la costruzione delle oltre 800 case dell’acqua gli enti pubblici hanno investito circa 24 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i costi di gestione e manutenzione, una cifra che va dai 6 agli 8 mila euro (altri 5 milioni di euro Fanno).

La motivazione che sta alla base di questi ingenti investimenti è di tipo ambientale, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica al consumo dell'”acqua pubblica” al posto delle acque minerali imbottigliate al fine di evitare le emissioni e ridurre i costi di riciclo delle bottiglie. Inoltre i consumatori avrebbero anche un vantaggio economico dall’acquisto di un’acqua che costa intorno ai 5 centesimi al litro, mentre il prezzo dell’acqua in bottiglia è intorno ai 20/30 centesimi. Ma il confronto non può essere fatto con le acque minerali che sono completamente diverse, bensì deve essere fatto con l’acqua del rubinetto di casa che è esattamente la stessa erogata dai chioschi e il cui costo medio è almeno 10 volte inferiore, 0,2 centesimi/litro. Secondo un’inchiesta di Altroconsumo «le analisi parlano chiaro: il confronto tra acqua delle fontanelle pubbliche e quella delle case dell’acqua dimostra che gli acquedotti svolgono bene il loro lavoro. Le due acque dal punto di vista della qualità si equivalgono». La conclusione paradossale è che l’installazione di queste strutture, non solo è inutile perché «non c’è motivo per preferire l’acqua delle casette a quella di casa», ma addirittura controproducente perché «se si prende apposta la macchina per rifornirsi di bottiglie, ci perde sia il portafogli sia l’ambiente». Se il vostro comune vi dicesse che ha intenzione di spendere 30 mila euro più altri 6 mila euro l’anno per vendervi a un prezzo dieci volte superiore la stessa acqua che sgorga dai rubinetti delle vostre case, la riterreste una buona idea?

In conclusione, il finanziamento pubblico delle moderne fontanelle è:

1) Ingiustificato, in quanto aggiuntivo al già garantito servizio universale di acqua potabile.
2) Discriminatorio nei confronti dei cittadini che preferiscono bere acqua minerale o acqua di casa, costretti da contribuenti a partecipare alla spesa di queste strutture.
3) Distorsivo della concorrenza in quanto penalizza i produttori e le attività che operano nel settore delle acque minerali.
4) Ingannevole nel far ritenere agli utenti di poter risparmiare rispetto al costo dell’acqua in bottiglia, come se si trattasse di prodotti equivalenti.
Si tratta invece di un prodotto analogo all’acqua domestica, venduto ad un costo 10 volte più elevato e che ha un impatto negativo sull’ambiente se i consumatori producono emissioni per raggiungere le case dell’ acqua. Ma forse la realizzazione delle “case dell’acqua” serve a soddisfare la sete mediatici da “taglio dei nastri” degli amministratori locali.

Da Libero, 16 luglio 2014
Twitter: @lucianocapone

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