Il fisco italiano e lo stato di diritto: ultima frontiera

Le iniziative del governo fanno molto più danno al paese di quanto sembri

14 Novembre 2023

Istituto Bruno Leoni

IBL

Argomenti / Economia e Mercato Politiche pubbliche

Le grandi piattaforme online evadono il fisco? Questo pregiudizio ha alimentato una ampia legislazione in campo tributario, in Italia e nel resto d’Europa, che ha non di rado generato mostri. L’ultimo in ordine di tempo riguarda il sequestro di quasi 800 milioni di euro ad Airbnb, effettuato dalla Guardia di Finanza su mandato della Procura di Milano.

La questione è abbastanza complessa ma, senza timore di fare uno spoiler, anticipiamo il punto di arrivo: si tratta di un abuso bello e buono che, speriamo, sarà riconosciuto nel corso dell’inevitabile contenzioso. Tutto nasce da una norma del 2017 che, introducendo la cedolare secca del 21 per cento sugli affitti brevi, prevede che gli intermediari, se intervengono nel pagamento dei canoni di locazione, debbano agire da sostituti d’imposta. Se, come Airbnb, non hanno una stabile organizzazione in Italia, essi sono qualificati come “responsabili d’imposta”, una nuova figura che nella sostanza ha le stesse caratteristiche del sostituto. La piattaforma di affitti brevi, ritenendo illegittimo questo obbligo, si è rifiutata di adempiere e non ha operato le ritenute, riversando l’intero ammontare dei canoni (al netto della propria provvigione) agli host. Tanto la Corte di giustizia europea quanto il Consiglio di Stato hanno dato torto ad Airbnb che, quindi, da ora in poi dovrà prelevare le ritenute e riversarle al fisco. Un risultato che forse la società si aspettava, ma che nondimeno è stato utile a dare pubblica visibilità a una norma assurda.

E’ qui che si inserisce la Procura milanese: il sequestro effettuato si riferisce agli ammontari che, durante il contenzioso, la piattaforma ha interamente restituito agli host. Il sequestro viene motivato col rischio che “che la somma oggetto di illecito risparmio fiscale venga interamente dispersa e non possa, nemmeno in parte, essere destinata al pagamento del debito, così aggravando le conseguenze del reato contestato, sia con riguardo al mancato incasso del debito erariale da parte della Pa sia con riguardo al danno economico a tutti gli altri operatori del settore che invece versano regolarmente tale imposta”, nonché “agevolando la commissione di altri reati fiscali a mezzo del reimpiego nella medesima attività commerciale, generando quindi con analogo meccanismo ulteriori ipotesi di reato”.

Siamo di fronte a una situazione paradossale: come ha scritto Dario Stevanato sul Foglio, “Airbnb non può aver trattenuto illegittimamente l’importo delle ritenute che non ha mai effettuato: i canoni, per quanto sappiamo, sono stati interamente riversati ai locatori (al netto della provvigione spettante Airbnb). Non esiste alcun profitto illecito da recuperare in capo ad Airbnb, che non si è appropriata di alcunché”.

Ci sarebbe poco da aggiungere, se non che queste iniziative “a dir poco avventate” (per citare ancora Stevanato) fanno molto più danno al paese di quanto si possa ritenere a prima vista. Gli investitori esteri possono non capire quali strade tortuose segua la giustizia italiana, ma capiscono perfettamente che non è la prima volta che la logica dello stato di diritto viene fatta a brandelli e, ciò che è peggio, quasi certamente non sarà l’ultima.

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