«Altro che flat tax. Ciò di cui si parla non è altro che un trattamento di favore per i contribuenti con partita Iva. Ed è anche iniquo perché tassa in modo diverso redditi da lavoro autonomo e redditi da lavoro dipendente o da pensione. Quello che servirebbe invece è una riforma fiscale complessiva», spiega Nicola Rossi, economista dell’Università Tor Vergata, componente del cda dell’Istituto Bruno Leoni, un passato in politica con il Pd.
«L’attuale sistema fiscale, per molti motivi, combina iniquità, inefficienza ed inefficacia. Definisce un rapporto fra Stato e cittadini distorto, incerto, opaco, fondato sul reciproco sospetto», dice Rossi.
E produce una delle tassazioni più alte d’Europa: «La Commissione Europea stima la pressione fiscale dell’Italia al 43,7% nel 2022. Nello stesso anno la pressione nell’Unione Europea è stimata pari al 41,1». Tasse alte, redditi bassi: «Negli ultimi 15 anni i salari nella Ue sono saliti del 12%, da noi calati del 4%». Ma con tutte le emergenze da affrontare, non ultima quella energetica, c’è la capienza di bilancio per una riforma fiscale complessiva? Risponde Rossi: «Un governo che voglia essere un governo di legislatura e che voglia lasciare un segno non può non porsi anche obbiettivi più ambiziosi e con una forte valenza programmatica».
Domanda. Siamo alla vigilia della legge di bilancio, la prima del governo Meloni. E si torna a parlare di una mini flat tax, con una tassa del 15% fino a 85 mila euro per redditi di lavoro autonomo. Misura iniqua perché non progressiva, è una delle accuse dell’opposizione. È così?
Risposta. Per la verità si torna a parlare di qualcosa che con la flat tax non ha molto a che fare, perché ciò di cui si parla non è altro che un trattamento di favore per i contribuenti con partita Iva. Non diversamente, ad esempio, da come si è fatto a suo tempo – in forme diverse – per i redditi da capitale. In questo caso l’iniquità è palese e non nasce dalla mancanza di progressività – che, come ho detto in altre occasioni, manca anche per altre forme di reddito – ma dal fatto che redditi dello stesso ammontare ma provenienti da forme diverse – da lavoro autonomo piuttosto che da lavoro dipendente o da pensione – vengono trattati in maniera significativamente diversa.
D. Il peso fiscale maggiore ricade sempre sui lavoratori dipendenti?
R. È un serio problema di iniquità orizzontale. Che certamente non viene superato dall’altra pseudo-flat tax di cui si parla: la cosiddetta flat tax incrementale. E cioè l’applicazione di una aliquota di favore agli incrementi di reddito registrati, sembra, nel 2022. Un ulteriore trattamento di favore che dubito seriamente possa ottenere il risultato significativo che si aspetta e cioè invitare gli italiani a «darsi da fare» per migliorare la propria situazione. È più ragionevole attendersi che tutto ciò complichi ulteriormente il sistema senza indurre risultati positivi apprezzabili.
D. Ma il livello di tassazione in Italia è in linea con i paesi di riferimento in Europa?
R. La Commissione Europea stima la pressione fiscale dell’Italia al 43,7% nel 2022. Nello stesso anno la pressione nell’Unione Europea è stimata pari al 41,1% e nell’area dell’Euro al 41,8%. Prima della crisi finanziaria, nel 2007, eravamo al 41,5%. Sempre nel 2007, sia l’Unione Europea che l’area dell’Euro erano al 39,9%. Detto in altri termini, non solo ci collochiamo fra i paesi a più elevata pressione fiscale ma nel corso degli ultimi quindici anni abbiamo fatto ricorso alle entrate fiscali più di altri. Mi sembrano dati piuttosto evidenti.
D. Le tasse salgono, i salari scendono. Come si spiega che i redditi italiani siano più bassi del 24% della media europea e l’Italia sia l’unico Paese che ha il segno negativo negli ultimi quindici anni?
R. Anche in questo caso, i dati sono impietosi. Nel 2007 il reddito pro capite degli italiani – sempre secondo la Commissione Europea – era pari a 30.600 euro. Nel 2022, in termini reali, dovrebbe attestarsi sui 29.300 euro, con un decremento di oltre il 4%. Non è andata così a tutti. Nell’Unione Europea in complesso, nello stesso lasso di tempo, siamo passati dai 27.000 a 30.300 euro, con un incremento del 12%. Nell’area dell’Euro, invece, siamo passati da 31.200 a 33.600 euro, con un incremento di poco inferiore all’8%. In realtà, purtroppo, il problema va oltre l’ultimo quindicennio e si trascina da un quarto di secolo.
D. La causa?
R. L’andamento della nostra produttività ed in particolare di quella cosa che gli economisti chiamano la produttività totale dei fattori. La capacità del Paese di spostare in avanti, giornalmente, i propri livelli di efficienza. L’Italia si sta impoverendo da circa 25 anni e gli italiani, invece di domandarsi cosa fare per invertire la rotta, si accapigliano per capire come dividersi una torta che di giorno in giorno diventa sempre più piccola. Il tempo passa e invertire la rotta si fa sempre più difficile.
D. Lei da tempo evidenzia che misure di intervento parziali su aliquote e regimi fiscali generano solo confusione e chiede che si proceda invece a una riforma fiscale complessiva. Da dove partirebbe? E secondo lei c’è la capienza di bilancio per una riforma di questo tipo?
R. Credo che sia difficile negare l’esigenza e l’urgenza di una complessiva riforma fiscale. L’attuale sistema fiscale, per molti motivi, combina iniquità, inefficienza ed inefficacia. Definisce un rapporto fra Stato e cittadini distorto, incerto, opaco, fondato sul reciproco sospetto. Ciò detto, se si vuole affrontare seriamente il tema, bisogna partire dalla consapevolezza che si tratta di una questione non affrontabile con una legge di bilancio ma solo nello spazio di una legislatura, anche per poter programmare con estrema attenzione e grande prudenza le ricadute finanziarie di una eventuale riforma.
D. Attenzione e prudenza…
R. Ma questo non significa che una riforma complessiva non sia possibile. Al contrario. Abbiamo al fortuna di essere all’inizio della legislatura e di avere alle spalle elezioni che ci hanno consegnato maggioranze parlamentari ragionevolmente solide e stabili. Ci sarebbero quindi tutte le condizioni per avviare un percorso di legislatura. Che non potrebbe non cominciare con l’insediamento, da parte del Ministro dell’Economia, di una commissione tecnica incaricata di redigere, in tempi dati, una ipotesi di riforma organica del sistema da sottoporre, poi, alla valutazione del Parlamento. Una commissione tecnica che, per funzionare, dovrebbe essere di dimensioni contenute e godere del pieno supporto del Ministro e delle strutture del Ministero. Una commissione tecnica la cui credibilità ed autorevolezza sarebbe il segnale inviato al Paese ed ai nostri partner europei che l’Italia intende fare bene e sul serio.
D. C’è stato un tentativo analogo, anche se a livello parlamentare, nella passata legislatura. Non ha prodotto molto.
R. Se si ha in mente una riforma organica del sistema fiscale, ovviamente il lavoro della commissione dovrebbe andare oltre la bozza di riforma elaborata dalle Commissioni riunite nella passata legislatura che rimane un utile punto di riferimento ma che costituisce più una razionalizzazione del sistema attuale che una sua complessiva ed organica revisione.
D. Il governo è impegnato a fronteggiare il caro bollette, con una manovra da 10 miliardi. E non sarà l’ultima emergenza. Non è velleitario pensare a una radicale riforma fiscale?
R. Mi perdoni, può un governo forte di una significativa investitura popolare come l’attuale limitare il proprio orizzonte alla gestione delle emergenze? Queste non mancano e non mancheranno. Possiamo esserne certi. Ma un governo che voglia essere un governo di legislatura e che voglia lasciare un segno non può non porsi anche obbiettivi più ambiziosi e con una forte valenza programmatica. E certamente ambizioso è l’obiettivo della riforma fiscale. Un obiettivo tra l’altro sfuggito a molti governi degli ultimi decenni.
D. Ci sarà una stretta anche sul reddito di cittadinanza. Le misure contro la povertà sono però previste anche in altri paesi, accusano da sinistra, M5s in testa.
R. Non mi sembra che si ipotizzi una riduzione della platea dei beneficiari ma, piuttosto, regole più stringenti per coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza e sono in grado di lavorare. Francamente, mi sembrerebbe una iniziativa condivisibile. Anche per rispetto ai tanti italiani che, silenziosamente, in un quindicennio segnato da crisi di portata storica si sono rimboccati le maniche e hanno tenuto in piedi il Paese.
da Italia Oggi, 16 novembre 2022