Flat tax, sì o no?

Carlo Cottarelli e Nicola Rossi analizzano gli effetti di una delle misure 'bandiera' del Governo M5S-Lega

5 Luglio 2018

Fortune

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Pagare meno, pagare tutti, pagare il giusto. Ma come? Con un sistema fiscale diverso, lontano anni luce da quello che ormai da cinquant’anni l’Italia si porta dietro. Su questo Carlo Cottarelli, voce e volto per una vita del Fondo Monetario Internazionale in Italia, ex commissario alla spending review, di recente Premier incaricato per la formazione del governo, e Nicola Rossi, ex senatore del Pd ed economista, membro di Italia Futura e già presidente dell’Istituto Bruno Leoni, sono ‘molto’ d’accordo. Sugli strumenti da utilizzare, a cominciare dalla flat tax, almeno nella versione uscita dal contratto di Governo Lega-Cinquestelle, uno è più guardingo, l’altro più possibilista, ma tutto sommato entrambi restano en attendant.

Dice Cottarelli: “la flat tax è una semplificazione” e “il sistema fiscale italiano ha grande bisogno di semplificazione. Il problema è che in Italia calcolare la base imponibile dell’Irpef è molto difficile, direi che ci vuole uno specialista, visto che esistono tantissime deduzioni e detrazioni”.

Stesso rischio individua Nicola Rossi. “La proposta per come è oggi mi pare ancora molto abbozzata e ho l’impressione che sotto molti profili l’effetto combinato delle deduzioni e delle due aliquote potrebbe provocare una serie di disincentivi soprattutto verso la formazione della famiglia, stante il grosso problema demografico che abbiamo in Italia, e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro”. Il vero nodo, ammette con nettezza Cottarelli, è che la ‘nuova frontiera’ della proposta leghista sul fisco “costa molto e quindi bisogna trovare le risorse e non credo sia possibile, per un Paese ad alto debito come l’Italia, affermare che la flat tax si finanzi da sola perché si riduce l’evasione fiscale e c’è un boom di entrate. Credo che questo sia un rischio che non possiamo correre”.

“Facciamo chiarezza – argomenta Rossi – la flat tax non è una cosa che un Paese si può permettere o meno. Tutto dipende dalle coperture che trova, anzi che cerca, per essere precisi. Se un ministro e una maggioranza non hanno nessuna intenzione di intervenire con i tagli di spesa, se non hanno alcuna intenzione di ridurre i bonus fiscali e, infine, se non hanno alcuna intenzione di ricomporre il gettito in maniera da consentire che la flat tax si faccia, è ovvio che la flat tax non si farà. Bisogna dire: non la voglio”.

Ma come si esce da questo ‘gorgo’ delle coperture, in un Paese che evidentemente non ne vuole più sapere dell’austerità? Cottarelli non va per il sottile e precisa: “Se facessimo come ogni famiglia responsabile, visto che fortunatamente siamo in un periodo di crescita, dovremmo mettere da parte le maggiori entrate che derivano proprio dalla crescita. Se si fa questo, non c’è nemmeno bisogno di tagliare la spesa e quindi fare austerità per ridurre il deficit”. Cottarelli va oltre. “Dico di più, se lo avessimo fatto già due o tre anni fa saremmo già sulla buona strada per raggiungere il pareggio di bilancio. Se continuassimo a crescere anche dell’1,-1,5% e mettessimo da parte le entrate che derivano dalla maggiore crescita, nel giro di tre anni, avremmo pareggiato i conti. Quello che io descrivo non è austerità, si tratta invece di non spendere le maggiori entrate”.

Se però, avverte, “continuiamo a dire ‘basta austerità’, a posticipare il momento facendo come ha fatto Renzi, che ha usato queste entrate per ridurre la tassazione, o ad aumentare il deficit come sembrerebbe orientato a fare il nuovo Governo, non arriviamo più a ridurre il debito e prima o poi qualcosa succede”. Rossi prova a immedesimarsi nel ministro dell’Economia Giovanni Tria. “L’ultima cosa da cui partirei, che invece mí pare centrale nella sua strategia, è l’ennesima richiesta di flessibilità. È quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e mi pare che i risultati siano stati prossimi allo zero. Non dobbiamo rinviare i nostri obiettivi come il pare: :io di bilancio e allo stesso tempo non credo che dovremmo chiedere flessibilità ulteriore perché ci verrà fatta pagare caramente su altri tavoli. Mentre si sta completando l’unione bancaria, mentre si potrebbero avere decisioni rilevanti sulla governance dell’Eurozona, l’Italia, tanto per cambiare e come è accaduto negli ultimi cinque anni, cercherà di scambiare un po’ di flessibilità con altro. E il risultato non sarà positivo come accaduto fino a ora”.

L’altro problema, afferma Cottarelli, “è il cambiamento nella distribuzione del reddito perché i tagli fiscali sono molto più alti per chi ha un reddito più elevato”. Privilegiare questa ipotesi, “è una valutazione politica”. L’ex commissario alla spending review spiega perché. “Non credo che una riduzione della progressività possa avere un effetto di offerta molto forte.

Sarebbe diverso se noi avessimo una progressività tale per cui, come accadeva negli anni Settanta nel Regno Unito o in Svezia, tu guadagnavi 100 in più e 90 ti venivano tassati. Ma ora non è così. Per questi livelli di progressività si tratta soltanto di una questione politica: c’è chi pensa che ci voglia più redistribuzione, io al momento penso che il livello di progressività che c’è attualmente sia abbastanza elevato”. Il sistema italiano attuale “è irriformabile – dice sconsolato Nicola Rossi – e per questo abbiamo cominciato a ragionare di flat tax. Se il sistema che abbiamo ora fosse in qualche modo aggiustabile dovremmo farlo. Fare questo è impossibile come dimostra l’azione dei diversi governi che si sono succeduti e che non hanno fatto altro che mettere pezze qui e là con il risultato di rendere il sistema ancora più pesante e incomprensibile. Bisogna prendere una decisione una volta per tutte: dopo cinquant’anni è tempo di riscrivere le regole del sistema fiscale e di ripensarlo dalle radici”.

Si parla di pace fiscale. E qui le strade dei due economisti divergono in toto. Cottarelli è tranchant: “È un condono. Non possiamo giocare sulle parole. Se io allo Stato devo 100 e pago 10 mi viene condonato il 90”. Rivendica invece Nicola Rossi di avere “un’opinione assai difforme” rispetto a molti altri. “Una crisi lunga e severa come quella che abbiamo avuto in Italia, che è durata quasi nove anni, lascia delle macerie. Il terreno va sgombrato se si vuole che il sistema riparta e ricominci a funzionare. Alcune di queste macerie erano i crediti deteriorati che infatti piano piano vengono smobilitati a prezzi di saldo. La stessa cosa va fatta con i crediti fiscali, perché molti di questi non sono altro che la conseguenza di imprese che non hanno potuto pagare quello che dovevano, e spesso volevano, perché sono state investite dalla crisi. Se ci ostiniamo a non vedere la somiglianza tra i crediti deteriorati e i crediti fiscali non ripuliremo mai il sistema dalle scorie che lo pervadono. Io credo quindi che se la pace fiscale verrà fatta con un minimo di criterio sarà un provvedimento ragionevole in questo momento”.

Da Fortune, 5 luglio 2018

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