14 Febbraio 2017
Il Foglio
Franco Debenedetti
Presidente, Fondazione IBL
Argomenti / Teoria e scienze sociali
“Sarà un’Unione europea a diverse velocità”, aveva detto Angela Merkel il 4 febbraio a Malta, spiegando “che tutti i paesi non parteciperanno ogni volta a tutte le tappe dell’integrazione”. Invece in molti intesero che avesse parlato di un euro a due velocità, tanto che qualche giorno dopo, incontratasi con Mario Draghi, la Cancelliera ritenne necessario ribadire pubblicamente che aveva parlato di Europa e non di euro.
Eppure si sa benissimo che “l’euro a due velocità” comporterebbe l’uscita di alcuni paesi dall’euro attuale e l’adozione da parte loro di una nuova moneta e quindi il break up dell’euro prima di una sua (eventuale) ricostituzione. E siccome si può uscire dall’euro solo uscendo dall’Europa, questo significherebbe che prima ci sarebbe il break up dell’Unione. Difficile spiegare razionalmente un simile equivoco. Si è tentati di ricorrere alle categorie della psicologia, anzi della psicanalisi, immaginare che questo sia un “atto mancato”: un desiderio inconscio induce a sostituire questa lettura (l’euro a due velocità) a quella corretta (l’Europa a due velocità), e a mettere in bocca alla cancelliera una frase che altrimenti verrebbe censurata.
Non convince? Però bisogna pur trovare una spiegazione a un malinteso tanto diffuso da indurre la Merkel a una precisazione. Troppo machiavellica che sia una trappola tesa ai grillini: vedendo che è la Germania a proporre un’uscita dall’euro, potrebbero sospettare un complotto e ripensarci. Più semplicemente: attribuire alla cancelliera propositi così devastanti è l’occasione per poter controproporre altri progetti per rimediare alle difficoltà dell’Eurozona; così progetti a lungo accarezzati trarrebbero forza dall’essere alternativi a quello adombrato dalla persona più potente d’Europa. Invece di divagare su altri settori di cooperazioni rafforzate, immigrazione o Difesa europea, meglio restare sul tema preferito: vale a dire parametri più accomodanti, una transfer union, o diretta o tramite uno degli strumenti tante volte proposti, Eurobond et similia. Insomma non la doppia velocità, ma una diversa velocità. Oltretutto, rappresentare una Merkel disposta a marciare verso l’abisso, dovrebbe spingere tanti altri ad aderire al progetto e trattenerla.
Perché ad avanzarli da soli noi italiani, questi progetti, qualche imbarazzo lo si prova. Come si fa a pontificare perché il rapporto sul PIL della bilancia commerciale della Germania supera quello previsto da Maastricht, quando quello del nostro debito al momento di entrare nell’euro era circa il doppio del canonico 60 per cento, e invece di tendere a quel valore è aumentato al 132 per cento? Come si fa a parlare di austerità quando negli ultimi due anni ci hanno concesso 12 miliardi oltre il previsto, li abbiamo usati per aumentare la spesa pubblica e ancora non ci basta? Come parlare di transfer quando noi è 150 anni che trasferiamo risorse al Mezzogiorno e i risultati sono sotto gli occhi di tutti?
Qualunque passo verso una condivisione del debito non può che avere come contropartita la condivisione del potere di controllarne l’andamento. È la proposta che fece qualche tempo fa Wolfgang Schäuble, una sorta di ministro delle Finanze che risponda al Consiglio e non alla Commissione, col potere di approvare il Bilancio. E di conseguenza, se del caso, col potere sulla politica economica, e quindi sulla politica tout court. Sicuri di volerlo noi? Sicuri che la Germania lo voglia? Di certo sappiamo che quando ha accettato di entrare nell’euro la condizione era che non fosse una transfer union.
Tutto sommato, una vera fortuna che quello di prendere euro per Europa sia un atto mancato.
Da Il Foglio, 14 febbraio 2017