Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel 1992, si è spento sabato notte all’età di 83 anni. Il suo principale contributo alla disciplina è ben riassunto nelle motivazioni del Nobel: “Aver esteso il dominio dell’analisi microeconomica a un ampio spettro di comportamenti umani e interazioni, inclusi i comportamenti non di mercato”. Il filo conduttore delle sue ricerche sta infatti nell’avere esaminato comportamenti di ordine socíologíco, più che strettamente economico, attraverso un approccio completamente nuovo, rivoluzionario: gli individui decidono se intraprendere una determinata decisione valutandone i costi e benefici attesi. Ciò, come ha tenuto a precisare Becker nella sua Nobel lecture, non significa assumere che le persone agiscano egoisticamente motivate dal solo profitto. Gli individui possono essere mossi da sentimenti come l’altruismo, la fedeltà, il masochismo, e molte altre ragioni apparentemente non razionali. Anch’esse però “entrano” nell’insieme dei costi o benefici che un agente prende in considerazione nel massimizzare l’utilità attesa da una determinata azione. Becker ha applicato questa metodologia a campi di ricerca tra i più diversi: le conseguenze economiche della discriminazione, le cause delle differenze salariali tra i generi, ma anche le decisioni su matrimonio e divorzio, il tempo allocato tra lavoro e famiglia, le relazioni coi genitori, la propensione a consumare droghe o commettere crimini, eccetera. Il suo è però legato soprattutto all’idea di “capitale umano” e allo sviluppo di una vera e propria teoria generale che è giunta a spiegare, tra le altre cose, come gli investimenti in capitale umano possano essere collegati al background famigliare, alla disponibilità economica o al talento individuale, e a esaminare le implicazioni micro- e macro-economiche legate all’investimento ín formazione.
Nel dare corpo alle sue intuizioni, Becker è stato protagonista della “rivoluzione di Chicago” che, a partire dagli anni Settanta, ha cambiato il modo stesso di “fare economia”. Il suo nome è pertanto legato all’università della Windy City, dove conseguì il dottorato sotto la guida di Milton Friedman e intrecciò la sua attività professionale con quella di altri “mostri sacri” dell’economia, come George Stigler e Richard Posner. Con quest’ultimo, a partire dal 2004 diede vita a un blog nel quale alternativamente l’uno scriveva un articolo e l’altro lo commentava. Il Becker-Posner blog è stato per un decennio una lettura indispensabile e non priva di provocazioni: nel suo ultimo intervento, il 3 marzo scorso, Becker chiedeva la fine dell’embargo su Cuba, in quello precedente discuteva l’opportunità di depenalizzare il consumo di cannabis. Pochi mesi prima, sul Wall Street Journal, era tornato a promuovere una delle sue provocazioni più urticanti, in un pezzo eloquentemente intitolato “Cash for Kidneys: The Case for a Market for Organs”, sulla vendita degli organi. Gli studi di Becker non si sono limitati alle aree che gli hanno fatto guadagnare il Nobel ma si sono estesi anche a temi relativi alla dinamica della popolazione, al nesso tra fertilità e crescita economica, a una analisi economica delle dipendenze, e ai più recenti contributi sull’economia della felicità.
Il grande merito di Becker sta nell’aver reso l’economia una scienza un po’ meno triste. Consegnandogli la Medal of Freedom nel 2007, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush gli riconosceva il merito di aver mostrato che “i principi economici non esistono solo in teoria”. Questo è in fondo il senso stesso della ricerca economica, che Becker più di ogni altro riuscì a incarnare e trasmettere. Spesso, come non mancò di sottolineare, incontrando ostacoli, critiche e anche la derisione di chi riteneva ridicolo esaminare aspetti apparentemente non economici del comportamento umano. Grazie a Becker l’economia non è solo una scienza utile, ma anche una scienza che sembra utile.
Da Il Foglio, 6 maggio 2014