Gas, i prezzi in altalena segnalano che ci sono ancora nodi da sciogliere

Non usciremo dalla crisi se non con più rigassificatori, più trivelle, più pale e più pannelli

3 Novembre 2022

MF-Milano Finanza

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Economia e Mercato

La corsa verso il basso del Ttf sembra inarrestabile. Nella giornata di ieri la borsa olandese da cui dipende il prezzo del gas ha sfiorato i 20 euro/MWh, un valore che sembra riportarci alla normalità pre-crisi. Purtroppo è presto per festeggiare. Oggi il metano si scambia in Europa a valori così bassi perché gli stoccaggi sono pieni e le temperature elevate.

Non appena arriverà il freddo, le cose cambieranno: i future con consegna a dicembre viaggiano sopra i 100 euro/MWh, mentre per tutto il 2023 i prezzi attesi si collocano nella forchetta 120-130 euro/MWh. Certo, ben lontani dal record assoluto di agosto (quasi 350 euro/MWh), ma quattro-cinque volte superiori alle medie storiche.

Dietro queste variazioni così ampie e così imprevedibili dei prezzi, c’è una situazione ancora lontana dall’essere risolta. L’emergenza energetica nasce da uno squilibrio tra domanda e offerta che ha tante cause, delle quali una sovrasta le altre: la progressiva riduzione dei flussi di gas dalla Russia, ormai quasi azzerati, conseguente all’invasione dell’Ucraina. Tutto ciò è avvenuto in un momento in cui, anche a livello globale, i mercati del gas erano tesi, a causa di una domanda superiore alle attese (la ripresa post-Covid è stata rapida) e un’offerta invece fiacca (dovuta agli insufficienti investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti nell’ultimo decennio).

In questo contesto, oltre al clima mite, l’unico elemento di moderazione viene dalla Cina, che esprime una richiesta di gas molto bassa a causa delle perduranti restrizioni pandemiche. Ma, ovviamente, prima o poi questa condizione finirà per cessare, e dunque al quadro complessivo si aggiungerà un altro ingombrante attore. Bisogna, allora, tornare all’immediato, e capire quello che sta succedendo.

Le importazioni di gas dalla Russia, che prima coprivano il 40% del fabbisogno europeo, si sono ridotte a un rivolo. A questo shock l’Europa ha fatto fronte anzitutto aumentando l’import da altri fornitori e poi sostituendo dove possibile il gas con altri combustibili (per esempio massimizzando l’utilizzo del carbone nella generazione elettrica). Ma la parte del leone, nel determinare i prezzi, in questi ultimi mesi l’ha fatta la domanda. Durante l’estate, quando i mercati sono letteralmente impazziti, erano gli Stati a menare le danze, col condivisibile obiettivo di portare gli stoccaggi almeno al 90% (livello oggi superato). Quando questo frenetico tiraggio si è calmato, i prezzi hanno coerentemente ritracciato.

Il calo non sarebbe stato altrettanto pronunciato se contemporaneamente non ci fosse stata una brusca frenata da parte dell’industria (fotografata pure dalla stima preliminare sul pil rilasciata lunedì dall’Istat) e perfino delle famiglie. A ottobre il calo è stato impressionante: -23,3%. E se nel civile (-43,5%) la principale ragione va cercata nelle temperature, nell’industria (-23,6%) si è trattata in grandissima parte di una reazione a prezzi insostenibili. Cioè, fuor di metafora, rallentamenti o fermi produttivi (da cui la decelerazione del pil).

Il mercato sta, insomma, facendo la sua parte: anche in modo doloroso. E questo è, almeno dalla prospettiva dei bilanci energetici, una buona notizia, sebbene l’altra faccia della medaglia sia il raffreddamento dell’attività economica. Ciò non significa che la fine del tunnel sia in vista. Dovremo infatti soffrire almeno per tutto l’anno prossimo: a meno di un imprevedibile e improbabile ritorno del gas russo, riempire gli stoccaggi in vista dell’inverno 2023/24 sarà difficile e costoso. Per questo non bisogna abbassare la guardia né illudersi di potercela cavare con alchimie regolatorie (dal fantomatico price cap al maldestro tentativo di rimpiazzare il Ttf con un indice Frankenstein made in Bruxelles).

E’ fondamentale sforzarsi di contenere i consumi specie quelli civili, in modo da lasciare qualche spazio di manovra all’industria e accelerare sul potenziamento delle infrastrutture e degli impianti per la produzione di energia rinnovabile. Non ne usciremo se non con più rigassificatori, più trivelle, più pale e più pannelli.

da MF-Milano Finanza, 3 novembre 2022

oggi, 22 Settembre 2024, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
0
    0
    Il tuo carrello
    Il tuo carrello è vuotoTorna al negozio
    Istituto Bruno Leoni