Davvero la Germania ha rotto l’unità europea, con l’annuncio di un piano da 200 miliardi di euro (il 5 per cento del suo Pil) per ridurre la spesa energetica delle famiglie? La notizia della morte dell’Ue è, come sempre in questi casi, grandemente esagerata.
Il programma di Berlino poggia su due principali pilastri: il finanziamento di un fondo per interventi temporanei (inclusa la nazionalizzazione) dei trader e venditori di energia elettrica e gas, e la riduzione delle bollette per i consumatori domestici e (forse) le piccole e medie imprese. Parte di queste risorse sono di fatto state già spese, in quanto dovranno coprire il bailout di Uniper (il maggior importatore tedesco di gas). Altre verranno invece utilizzate nel corso dell’anno prossimo. In realtà, alcune di queste misure erano già state annunciate (la Germania ha speso o impegnato circa il 2,8 per cento del Pil finora), quindi l’entità delle risorse aggiuntive è inferiore a quanto potrebbe sembrare. In ogni caso, la Germania si candida a essere il paese europeo che più ha speso (o spenderà) per sostenere i consumatori di energia.
Questa linea di comportamento è, nel merito, assai discutibile: oggi più che mai bisogna lasciare che siano i prezzi a indurre la riduzione dei consumi e a stimolare investimenti in fonti alternative. Ma davvero non si capisce la condanna unanime che è emersa in molti Stati membri dell’Unione, tra cui l’Italia. Certo, il timing della proposta è stato infelice: proprio alla vigilia del Consiglio straordinario sull’energia in cui si è animatamente discusso delle varie proposte per far fronte all’emergenza, tra cui l’idea italiana di un price cap sul gas (respinta in toto non solo dalla Germania ma anche dalla stessa Commissione Ue). A ogni modo, Berlino non sta facendo nulla di qualitativamente diverso rispetto agli altri. Per esempio, l’Italia finora ha speso circa 3,3 punti di Pil (più della maggior parte degli Stati membri, Germania inclusa) e staremo a vedere quali misure saranno adottate per il 2023.
La Germania ha semplicemente approfittato dello spazio fiscale reso disponibile da un bilancio pubblico sano e da un basso debito pubblico. Se noi non avessimo dilapidato i denari pubblici nel passato lontano e vicino, potremmo fare lo stesso. E se fossimo disposti a tagliare qualche voce di spesa per finanziare interventi emergenziali, potremmo farlo comunque, anche oggi. Tenendo ben presente che le finanze pubbliche italiane sono quello che sono, e la priorità oggi è mettere le imprese in condizione di investire e svilupparsi, non tassarle a morte per operare forme confuse di redistribuzione. Un problema, questo, che riguarda noi tanto quanti i tedeschi e tutti gli europei, visto la debole performance economica dell’intero continente.
Starà comunque al nuovo governo decidere come intervenire e quali spese eventualmente tagliare. Ma per favore, nessuno gridi al complotto tedesco: così fan tutti, e non possiamo pretendere di dare buoni consigli se siamo tra i primi e più entusiasti nel dare cattivo esempio.
4 ottobre 2022