Gli italiani? Individualisti di Stato

Nel nostro paese uno Stato ipertrofico coincide con un quasi totale scetticismo verso le istituzioni

11 Luglio 2018

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Con il suo ultimo pamphlet edito da Liberilibri, dal titolo L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani, Giancristiano Desiderio richiama l’attenzione su un paradosso tutto italiano: e cioè sul fatto che nel nostro paese uno Stato ipertrofico coincide con un quasi totale scetticismo verso le istituzioni.
I nostri concittadini sono profondamente individualisti, restii a ogni patriottismo, ma questo non impedisce loro di usare gli apparati pubblici per ottenere aiuti, favori e privilegi.
D’altra parte, ben pochi italiani credono davvero nello Stato. I più tendono a guardarlo con sospetto: come un prodotto d’importazione. Non abbiamo un’autentica Patria comune, ma ci muoviamo tra uffici e bilanci statali al fine di realizzare i nostri obiettivi: personali o di gruppo. L’individualismo statalista è tutto qui: non amiamo lo Stato e non lo vogliamo servire, ma l’utilizziamo con disinvoltura per fregare il prossimo e vivere alle sue spalle.

Vera e falsa
Chi conosce la nostra storia non può essere sorpreso, dato che – come si legge nel testo – «l’unica, vera invenzione politica italiana è il Comune. (…) Qui c’è l’Italia vera; lì, nella nazione, c’è l’Italia falsa». È tra il Medioevo e il Rinascimento che abbiamo scoperto ciò che siamo: aprendoci al mondo e sapendo mediare tra civiltà diverse. Desiderio sottolinea pure quanto, da noi, possano essere forti le divisioni ideologiche: e come le tradizioni politiche siano tali segnare intere famiglie. Già un secolo fa Santi Romano aveva colto, con un’intuizione tutta italiana, che lo Stato poteva essere messo in crisi da questa solidarietà di partito che mescolava coscienza di classe e ideologia. Oggi le vecchie tradizioni di pensiero impostesi nel diciannovesimo secolo (liberalismo, socialismo, fascismo, comunismo, popolarismo ecc.) sono di fatto svanite e sulla scheda elettorale i nomi delle formazioni in lizza non dicono nulla, perché ci mostrano formazioni pronte a cambiare programma in ogni circostanza. E nonostante ciò gli italiani continuano a rimanere più divisi che uniti. Recitano di essere italiani, ma sanno di non esserlo.

Pendolarismo ideologico
D’altra parte, i nostri intellettuali sono per lo più chierici che tradiscono e hanno sempre tradito. Mussolini nasce marxista e poi crea una nuova ideologia anticlassista che infiamma l’intera Europa, ma tra il ’45 e il ’48 saranno frotte gli studiosi fascisti che si scopriranno comunisti fino al midollo. E oggi questo pendolarismo ideologico tra le estreme è riattualizzato da taluni dannunziani “à la page” che dopo avere salutato la rinascita del comunismo sono pronti a riscoprire interessi nazionali e perfino logiche xenofobe.
Una delle conseguenze è che in Italia la storiografia è spesso una forma di mistificazione. E così non c’è da sorprendersi se «il Risorgimento diventa presto un mito e non solo per le generazioni successive al momento unitario, ma anche per il regime fascista, che si presenta agli italiani come il completamento dell’età risorgimentale».
Abbiamo insomma costruito enormi menzogne e abbiamo finto di credervi. Così, dopo che gli Alleati hanno sconfitto fascismo e nazismo, abbiamo inventato un’Italia che si è liberata da sé: figlia della Resistenza, e non già delle armate americane. Molto di quanto insegniamo ai nostri giovani non è vero, ma è servito a costruire una qualche verginità alla classe politica del dopoguerra, la quale ha annoverato, tra i presidenti della Repubblica, perfino chi come Giovanni Gronchi era stato sottosegretario del primo governo Mussolini.
Desiderio sottolinea come in Italia lo Stato sia arrivato tardi e male, e come esso non sia mai stato metabolizzato. Un po’ egli se ne dispiace, poiché nel mancato incontro tra Stato e nazione legge le premesse per il cinismo che ci caratterizza. Esiste però anche un’altra possibile lettura, dal momento che con ogni probabilità le logiche della sovranità non sarebbero mai dovute arrivare, poiché è stato proprio questo tardivo e artificioso innesto che ha posto le premesse per il nostro degrado morale. Se ancora fossimo un mosaico di comuni e regioni, una costellazione di cantoni e città libere, avremmo istituzioni più sintonizzate su ciò che siamo e su ciò di cui abbiamo bisogno.

Popoli diversi
Quando Desiderio utilizza il Guicciardini di Francesco De Sanctis per enfatizzare il nostro opportunismo, la luce illumina solo un lato della medaglia: perché nella storia della penisola ci sono tantissime pagine di dedizione alle istituzioni, di eroismo e di generosità, ma esse non hanno nulla a che fare con l’Italia, ma invece ci mostrano il legame dei veneziani con la Serenissima, dei genovesi con la Superba, e via dicendo. Si tratta allora di non fare violenza a una storia e una società: accettando questi diversi popoli per quello che sono.
Gli italiani stanno declinando, soffocati da questo individualismo statalista che si converte in un collettivismo del tutto irrazionale. Se lo Stato si ritirasse e lo spirito dell’autogoverno potesse tornare a rinascere, vi sarebbero certo le premesse per un futuro diverso.

da La Provincia, 11 luglio 2018

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