Golden power, alias Re Mida al contrario

Fa perdere valore non solo a tutto quello che tocca, ma anche a quello che potrebbe toccare

8 Aprile 2020

IBL

Argomenti / Economia e Mercato Teoria e scienze sociali

I poteri speciali del Governo per mettere in sicurezza le imprese “strategiche” sono una specie di storia infinita, di cui è stato appena scritto l’ultimo capitolo. Inizialmente si applicavano ai soli asset strategici – identificati come tali con appositi provvedimenti – quali le reti elettriche e di telecomunicazioni. Poi, la disciplina è stata estesa fino a includere i settori “ad alta intensità di tecnologia”, definizione che potrebbe includere una grande porzione del manifatturiero italiano. Poi si è stabilito che, nel caso del 5G, le imprese debbano ricevere il placet di Palazzo Chigi anche nella scelta dei fornitori. Adesso, col Decreto Liquidità di lunedì scorso, il cui testo definitivo non è ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, la disciplina fa un ulteriore passo avanti: da un lato, per quel che si sa dalle anticipazioni della stampa, viene ampliato il novero dei settori interessati (sono inclusi sicurezza alimentare, credito, assicurazioni, salute…); poi, le operazioni soggette a notifica si allargano a quelle compiute da imprese europee, mentre per quelle extracomunitarie la soglia di attenzione scende all’acquisizione di un mero 10 per cento del capitale sociale; infine, in caso di mancata notifica il Governo potrà intervenire d’ufficio. Come hanno già chiarito diversi esponenti dell’esecutivo, si tratta di un tassello all’interno di una strategia più ampia, volta a dotare il paese di un “vaccino contro il virus delle scalate ostili” (Riccardo Fraccaro) nonché il “primo passo” verso “la costituzione di una nuova Iri” (Stefano Patuanelli).

Ma che senso ha la riforma del golden power proprio adesso? L’idea che ci siano poteri oscuri pronti ad approfittare dei cali di borsa per mettere le mani sulle aziende “strategiche” è, semplicemente, ridicola. E non solo perché la crisi ha investito mezzo mondo, ma anche perché il Governo aveva già – attraverso lo stesso golden power, oltre che con l’esercizio dei suoi normali poteri, incluso quello che eufemisticamente chiamiamo moral suasion – ogni facoltà di impedire i takeover ostili (per quanto improbabili) su aziende nevralgiche quali Leonardo, Eni o Terna (tutte a controllo pubblico). Per chiunque altro, la nuova normativa crea enorme incertezza e, in un momento di generale deflusso dei capitali dai mercati, non farà altro che deprimere ulteriormente le quotazioni di borsa e il valore delle partecipazioni societarie. Per esempio, chiunque voglia acquisire una quota (neppure di maggioranza) di una media impresa che produce apparecchi medicali o tecnologie di precisione, dovrà scontare il rischio di un intervento del Governo che imponga un proprio rappresentante in consiglio di amministrazione, infligga prescrizioni o addirittura ponga il veto sull’operazione.

C’è un che di paradossale anche nella collocazione normativa che il provvedimento sembra avere: in un decreto chiamato “liquidità” e finalizzato a dare ossigeno alle imprese, si inserisce una disposizione che ha come unica conseguenza quella di mettere in fuga i capitali esteri, inclusi addirittura quelli europei. Una disposizione di fatto inutile e, se maneggiata in modo goffo, potenzialmente pericolosa. Il golden power è letteralmente la traduzione normativa dei poteri di Re Mida all’incontrario, e ancora più forti: fa perdere valore non solo a tutto quello che tocca, ma addirittura tutto quello che potrebbe toccare.

8 aprile 2020

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