Golden power: il record delle notifiche non è una conquista ma un problema

Il motivo ideologico della “sicurezza nazionale” diventa una scusa per sacrificare il diritto di proprietà

26 Luglio 2022

IBL

Argomenti / Economia e Mercato Politiche pubbliche

Una delle principali missioni che si è assegnato il governo Draghi – e uno dei principali temi della campagna elettorale appena iniziata – è la semplificazione e la riduzione delle pastoie burocratiche. Sarebbe bello se questo slogan evergreen si trasformasse, ogni tanto, in un fatto.

L’amara verità è invece che anche i “semplificatori” a parole complicano nei fatti.

Prendiamo, per esempio, il caso del golden power. Secondo quanto si apprende da un articolo di Affari e Finanza, nel 2021 a Palazzo Chigi sarebbero arrivate ben 496 notifiche – 1,3 al giorno considerando tutte le 365 giornate, 1,9 considerando solo quelle lavorative – che avrebbero portato a interventi in ventisei casi e l’opposizione del veto in uno soltanto. Nel 2020, a fronte di 341 notifiche i poteri speciali erano stati esercitati 37 volte più un veto. Nel 2019, le notifiche erano state 83 e i casi in cui i poteri erano stati esercitati 13.

Da questi numeri si colgono due tendenze, strettamente legate l’una all’altra. Da un lato è letteralmente esploso il numero di operazioni giunte all’attenzione della Presidenza del Consiglio. Dall’altro, è calata la proporzione di quelle che hanno condotto ad azioni effettive. Se quest’ultima è nel complesso una buona notizia, non lo è la prima: essa trasmette infatti la percezione che le circostanze in cui le imprese si sentono (o sono) in dovere di cercare il disco verde alla politica è in continua crescita. E’ importante che, almeno finora, i poteri speciali siano stati utilizzati solo in una minoranza dei casi: ma quel che conta è che l’Italia sta diventando lentamente, e quasi senza accorgersene, un paese nel quale un’impresa, per svolgere la sua attività, sempre più spesso deve chiedere il permesso.

Il problema è che i confini del golden power si sono continuamente dilatati in questi ultimi anni, con interventi ripetuti e disordinati di allargamento delle fattispecie potenzialmente esposte a notifica. Questo ha anche comportato una crescente vaghezza, che nulla ha a che vedere con la casistica abbastanza precisa e chiara definita dal governo Monti nel 2012. Sicché, nel dubbio, le imprese notificano, alimentando un girone infernale di carte bollate utili a nulla se non a proteggersi contro il rischio di essere rintuzzate ex post con tutte le conseguenze del caso. Oltre alla proliferazione delle notifiche, dall’esame dei casi in cui i poteri sono stati utilizzati emerge un pattern abbastanza preoccupante: spesso il governo pone prescrizioni irricevibili che vincolano o addirittura fanno saltare deal che è difficile definire strategici, del valore di pochi milioni di euro, i quali però rappresentano per le aziende che intendono effettuarli la differenza tra una prospettiva di crescita e una di stagnazione.

Il motivo ideologico della “sicurezza nazionale” diventa una corda alla quale impiccare il principio del diritto di proprietà e fa impressione che uomini politici e partiti che vorrebbero essere “pro-business” fingano di non accorgersene.

Il golden power è, in un certo senso, l’apoteosi dello statalismo. Possono esserci ragioni per sottoporre a scrutinio alcune specifiche operazioni, relative al controllo di attivi “strategici” (qualunque cosa ciò voglia dire) e al coinvolgimento di soggetti provenienti da paesi non democratici e non legati a noi da accordi di libero scambio e di protezione degli investimenti. Come Istituto Bruno Leoni abbiamo fatto delle proposte in tal senso. Il problema è che non stiamo assistendo al tentativo pragmatico di affrontare in modo moderno il tema della sicurezza nazionale. Siamo davanti a una forzatura in virtù della quale un numero di operazioni sempre più ampio e indefinito, nel nome di un concetto vago e omnicomprensivo di sicurezza nazionale, viene esposto a decisioni fondamentalmente arbitrarie da parte del potere politico.

Come abbiamo detto in passato, il golden power in questi termini appare come un esproprio mascherato perché implica che i proprietari non possono disporre realmente dei loro beni: devono prima acquisire il consenso del principe. In una campagna elettorale assennata si discuterebbe di come rivedere il campo di applicazione del golden power. Temiamo invece che, anche su questo, la politica possa finire a giocare con le bandierine.

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