Ancora una volta il governo italiano interviene sulla disciplina del golden power per ampliarne i confini. Con quale obiettivo? Secondo il comunicato stampa del Consiglio dei ministri, si tratta di adeguare la normativa per tenere conto “dell’accresciuta strategicità di alcuni settori”. Come al solito, la “strategicità” si conferma una coperta che si può tirare da una parte e dall’altra e non una categoria chiara e ben definita. Quali saranno effetti? Purtroppo è facile prevederlo: più il perimetro dei poteri speciali si amplia e la loro applicazione si fa discrezionale, più la contendibilità delle imprese italiane si riduce e il loro valore potenziale cala.
Nel merito, il decreto varato venerdì scorso allarga il novero delle operazioni che devono essere notificate e rende strutturali misure che erano state introdotte in via “transitoria” durante l’emergenza Covid. Tra di esse, non solo è confermato l’obbligo di notifica anche per le acquisizioni di minoranza da parte di imprese extra Ue, ma anche quello relativo all’acquisizione del controllo da parte di imprese europee. In pratica, non resta che prendere atto che l’Italia non si considera pienamente uno Stato membro dell’Unione e non si fida delle altre nazioni europee: di fatto abbiamo posto un limite permanente alla libera circolazione dei capitali. Oltre a questo, le modalità della notifica vengono riviste imponendo una comunicazione congiunta delle imprese acquirenti e target, “in modo da evitare una notifica da parte dell’impresa acquirente e una notifica successiva da parte dell’impresa target una volta rinnovati gli organi sociali”.
Questo provvedimento non stupisce: fin da subito avevamo messo in guardia contro il rischio che le misure “temporanee” sarebbero diventate strutturali. Nondimeno, esso rappresenta un duplice fallimento: fallisce l’Italia, che conferma di essere un paese che non accetta le regole del mercato, non rispetta i diritti di proprietà e pretende di assoggettare ogni decisione rilevante all’arbitrio del decisore pro tempore. Ma è anche, e forse soprattutto, un fallimento dell’Unione europea, che appare sempre meno in grado di garantire l’integrazione delle economie degli Stati membri e la reciprocità delle loro regole.
22 marzo 2022