Una disciplina che eleva i capricci del principe a prassi di governo
Il governo sembra pronto a una riforma del Golden Power – i poteri speciali in materia di operazioni societarie – al fine di renderlo ancora più stringente. Chiamiamo le cose col loro nome: il Golden Power non ha niente a che fare con la sicurezza nazionale. Si tratta di uno strumento di politica industriale: pericoloso e invasivo. All’atto pratico, l’effetto è equivalente a una sorta di patrimoniale sulle imprese. In un Paese che ha disperato bisogno di attrarre investimenti dall’estero, è una misura curiosamente autolesionista, che limita il diritto di proprietà degli imprenditori.
Lo ha lucidamente riconosciuto il presidente della Consob, Paolo Savona, intervenendo alcuni giorni fa a un evento dedicato proprio a questo tema. Savona ha spiegato che il Golden Power è stato “ideato adducendo motivi di sicurezza dello Stato, ma anche come strumento per correggere taluni effetti indesiderati del libero mercato sulle imprese e sui lavoratori nazionali. Questo ampliamento solleva problemi delicati di individuare i confini tra le due funzioni per non ostacolare l’azione del nostro modello di sviluppo”. “Se il concetto [di sicurezza] si amplia per accogliere la sicurezza delle imprese – ha proseguito il presidente della Consob – nascono sovrapposizioni istituzionali con le funzioni di altri organi delegati al buon funzionamento dell’economia di mercato”.
Il punto è proprio questo: c’è una realtà formale e una realtà sostanziale del Golden Power. Dal punto di vista formale, si tratta di una disciplina eccezionale per garantire allo Stato la facoltà di intervenire in situazioni rare e critiche, in cui sono in ballo questioni fondamentali. Nella realtà, però, il Golden Power è ormai qualcosa di molto diverso, come mostra l’aumento esponenziale del numero delle notifiche: anche per effetto di molteplici interventi che si sono stratificati almeno a partire dal 2017, la disciplina è ormai stratificata e confusa, i settori coinvolti si sono moltiplicati, le definizioni sono vaghe e manca qualunque tipizzazione delle eventuali soluzioni. I poteri speciali sono solo un esercizio arbitrario dell’autorità governativa, che può – senza dover dimostrare l’esistenza effettiva di alcun rischio – impicciarsi di operazioni societarie praticamente in tutte le aziende di medio-grandi dimensioni. E che induce le imprese a sottoporre al governo centinaia e centinaia di notifiche ogni anno, non sapendo bene se i loro programmi possono suscitare qualche alzata di ciglio politico.
In questi anni si è fatto un gran parlare del Golden Power. Di solito i politici ne hanno invocato continue estensioni. Ma il risultato è una disciplina che eleva i capricci del principe a prassi di governo. Poiché, però, nella stragrande maggioranza dei casi le operazioni societarie non hanno alcuna rilevanza ai fini della sicurezza nazionale, il principe dovrebbe passare dalla disciplina dei “poteri dorati” a quella del “dorato silenzio”, rimuovendo le varie espansioni del Golden Power (tutte giustificate da qualche supposta emergenza, dalle “scorrerie” di Vivendi del 2017 al Covid) e tornando almeno alle norme, più equilibrate e chiare, varate nel 2012 da Mario Monti.