Settimana scorsa, l’Italia ha collocato dei buoni del tesoro pluriennali con una scadenza molto lunga: esattamente al 1° marzo 2067, cioè fra cinquant’anni.
La domanda, in particolare dai gestori dei fondi, è stata talmente alta che il Tesoro ha dovuto alzare l’emissione, da 3 a 5 miliardi. L’iniziativa ha suscitato un plauso generale.
C’è davvero di che essere soddisfatti?
Il tasso d’interesse è stato fissato a 2,85%: il che appare senz’altro interessante, nell’epoca dei tassi a zero. Questo 2,85% è all’incirca un punto e mezzo in più di quanto oggi paga sulla stessa scadenza la Francia (e 1,4 punti in più rispetto al Belgio). Tradotto: al contribuente italiano prendere a prestito questi 5 miliardi costa 3,750 miliardi di interesse in più di quanto costi al suo cugino d’Oltralpe (e circa 3 miliardi in più di quanto costi a un contribuente belga). Per definirlo un successo, evidentemente bisogna sapersi accontentare.
Soprattutto, sarebbe opportuno ricordare che passività a tasso fisso di lunga durata sono fortemente esposte al rischio di tasso d’interesse. Tradotto: il Tesoro italiano sta scommettendo che le sue stesse condizioni finanziarie rimarranno drasticamente peggiori di quelle francesi o belghe ancora per i prossimi cinquant’anni. Chi è alla ricerca dei “gufi” che dubitano dell’efficacia delle riforme di questi anni, li ha trovati.