I lacci che frenano la banda larga

Non è senza difficoltà che siamo usciti dal monopolio frutto della politica industriale del secolo scorso, non è il caso di ricominciare a pianificare assetti di mercato

3 Marzo 2015

Corriere della Sera

Franco Debenedetti

Presidente, Fondazione IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Oggi si tiene il Cdm nel quale il governo dovrebbe chiarire i contenuti del suo piano sulla banda larga, che molte perplessità ha destato, e nel merito delle voci che sono circolate, e sul metodo. Ci sono punti di contatto tra questa vicenda e quella Rai Way-EiTowers di cui il ministro Padoan ha scelto di parlare nella sua intervista di domenica col Corriere. «Rientra nelle logiche del governo ha detto verificare quali partecipate possano creare valore che serva ad abbattere il debito ed aumentare l’efficienza».

A dire il vero proprio la risposta che il mercato ha dato all’offerta su Rai Way, con l’immediato aumento dei valori delle aziende, sia quella soggetto sia quella oggetto dell’offerta, sta a dimostrare che la creazione di valore è possibile, non in astratto, ma proprio nel caso in esame. Questa risposta dovrebbe lusingarlo: nonostante fossero ben noti, sia il vincolo del 51%, sia – come dire? – le sensibilità politiche che vengono eccitate alla sola ipotesi di una trattativa tra un’azienda di Silvio Berlusconi e il governo (e non solo), il mercato evidentemente condivide gli obiettivi di fondo del governo, e crede che li raggiungerà, superando sia paletti posti in fase di quotazione di Rai Way, sia ostracismi pregiudiziali.

La questione che pone il ministro è di carattere generale. Un’azienda che il mercato considera non scalabile è quotata a sconto, il che comporta che per lei il costo del capitale è maggiore. Quando nella compagine azionaria c’è un azionista messo lì apposta per impedire scalate ostili, bisogna essere consapevoli che questo ha un costo, particolarmente rilevante per le aziende che detengono monopoli che la lunga permanenza nelle partecipazioni statali ha resi «naturali», e alle quali si chiedono significativi investimenti infrastrutturali.

È evidente il riferimento a Terna e a SnamReteGas, dove il 30% circa posseduto dalla Cassa depositi e prestiti è lì a dissuadere, per conto del Tesoro, chi avesse intenzioni ostili.

Con il che ritorniamo a Rai Way: i suoi tralicci sono di proprietà (almeno al 51%!) di Rai, la quale, come è noto, fino alla legge Gasparri, era di proprietà della Stet. Dipende quindi da una decisione dell’antenata di Telecom il fatto che in Italia il segnale televisivo venga trasmesso via etere, quello Rai fin dall’inizio, quello Mediaset finito il regime delle cassette trasportate col motorino. Mentre in altri Paesi, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, soggetti diversi dal concessionario telefonico costruivano reti via cavo per trasmettere il segnale televisivo, da noi non si poteva, perché la legge (d.lgs73 del febbraio 1991) riserva al concessionario delle telecomunicazioni il diritto esclusivo di scavare e mettere reti. Erano reti a cavo coassiale, oggi facilmente trasformate in rete a fibra ottica: in quei Paesi c’è quindi concorrenza tra due reti a banda larga, una condizione che, come nota OfCom, ha contribuito moltissimo ad aumentare diffusione e qualità della connettività. Farebbe solo peggio il governo se, per correggere gli interventi dei governi passati, volesse farne di analoghi oggi, nella vicenda della rete a banda larga: non è senza difficoltà che siamo usciti dal monopolio frutto della politica industriale del secolo scorso, non è il caso di ricominciare a pianificare assetti di mercato, men che meno di usare le tecnologie come grimaldello per realizzarli. Il governo fissi gli obiettivi, prestazionali, temporali, economici.
Tocca alle aziende scegliere le soluzioni tecnologiche e gli assetti societari atti a raggiungerli: a sorvegliare già ci sono le autorità, sulla concorrenza e di settore, italiane e, se non bastasse, comunitarie. Senza dimenticare che, come non c’è un’unica tecnologia non c’è neanche un unico tipo di consumatore.
C’è anche concorrenza tra i modi in cui ciascuno può impiegare il proprio tempo e spendere i propri soldi: ed alla fine sono proprio quelle scelte a determinare i «valori», ed è anche da quelle scelte che dipende l’efficienza del Paese. Cioè gli obiettivi indicati dal ministro.

Dal Corriere della sera, 3 marzo 2015
Twitter: @FDebenedetti

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