26 Aprile 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
C’era una volta un’Europa con una «compagnia di bandiera» (statale) per ogni Paese. In quel tempo poteva succedere che un insegnante andasse in pensione dopo soli 15 anni, sei mesi e un giorno. C’era anche un mondo, tempo fa, in cui si credeva che lo Stato disponesse di risorse infinite e che per ogni problema potesse bastare un decreto governativo.
Le reazioni di vari politici e sindacalisti all’indomani del voto di Alitalia, che ha bocciato il piano per il rilancio dell’azienda e posto le premesse per il commissariamento, ci dicono che quel tempo non è finito. Per molti è sempre legittimo poter mettere le mani nelle tasche degli altri: ci si considera autorizzati a tutto ciò e si pensa che le conseguenze per la società nel suo insieme saranno modeste.
In effetti, cosa chiedono al governo i sindacati di base, che sono i veri vincitori della consultazione? Di fronte a un’azienda incapace di rispondere alle esigenze del pubblico, essi domandano che intervenga Pantalone: vorrebbero quella nazionalizzazione che, nei fatti, toglierebbe altre risorse a chi produce ricchezza per premiare (una volta di più!) un vecchio carrozzone. I lavoratori di Alitalia, e quanti li hanno spinti a questo voto irresponsabile, dovrebbero capire alcune cose. Innanzi tutto, sarebbe bene avessero chiaro che l’Italia è un Paese tecnicamente fallito, oppresso com’è da un debito fuori controllo. Se restiamo in piedi (ma per quanto?) è solo grazie a una politica monetaria che mantiene bassi i tassi di interesse. Con le casse pubbliche vuote e le imposte alle stelle, l’idea di aiuti di Stato è folle; e non solo e in primo luogo in virtù delle regole europee. Oltre a ciò, i dipendenti della principale impresa italiana del trasporto aereo dovrebbero avere presente che la società attuale quella di Facebook e di Google, di Airbnb e di Uber è anche la società dei voli low cost e quindi di Easyjet e Ryanair. Oggi si può andare a Londra e tornare a casa con poche decine di euro, e lo stesso quando ci si sposta su Parigi o Berlino. Negli ultimi decenni il traffico aereo ha avuto una crescita impressionante, così che lo status stesso di chi pilota un jet è sempre meno prestigioso. E quando in un’economia di mercato i costi sostenuti dalle altre compagnie sono bassi, si riesce a reggere ed essere competitivi solo se si fa lo stesso.
Politicamente improponibile ed economicamente irragionevole, il «no» espresso dai lavoratori di Alitalia è pure indifendibile sul piano morale. Quanti hanno goduto fino a oggi di privilegi, vorrebbero nuovi aiuti per continuare a difendere la loro condizione. Puntano i piedi per salvare un mondo che non c’è più. Con il «sì», Alitalia avrebbe dovuto trovare una strada per rifondarsi e cambiare natura. Con il «no», bisogna essere consapevoli che questa azienda non può avere un futuro. E ci rimane solo da sperare che si prenda atto di quanto è avvenuto, mettendo a disposizione di nuovi soggetti, nell’interesse degli italiani, gli slot finora utilizzati da Alitalia.
Da Il Giornale, 26 aprile 2017