Al direttore – In un paese vecchio, il necrologio è il momento più sincero della riflessione pubblica. La memoria di chi è appena scomparso diventa l’occasione più appropriata per parlare di chi rimane. E’ per questo che il cordoglio per la figura di Ettore Bernabei – per una volta generale, assoluto, sincero – è rivelatore.
Il rispetto per l’uomo va da sé. Ma colpisce la generale nostalgia per un tempo più semplice, quando bastava un canale solo per capire quel che c’era da capire sul mondo. C’è davvero da rimpiangerlo, quel tempo?
Senz’altro Bernabei lo incarnava alla perfezione. Era La Pira più il tubo catodico: la Rai del monopolio come leva di pedagogia sociale, un menù monopiatto per “fare gli italiani”, per quanto al modo della Democrazia cristiana e del sentire comune del secondo Dopoguerra. Un’idea di progettazione mite della società, un bianco e nero intriso di buone intenzioni: ma pur sempre bianco e nero. Meglio di tutto quel che è venuto dopo? Può darsi, e tuttavia c’è una continuità fra il dopo e il prima. La Cassa del mezzogiorno sarà nata per fare infrastrutture utili, ma forse non è un caso se poi ha costruito le “cattedrali nel deserto”. I primi manager pubblici saranno stati dritti come un fuso, ma forse non è un caso se poi la politica industriale è diventata la grande mensa della partitocrazia. La Rai di Bernabei sapeva di bucato, ma forse non è un caso se è tutt’oggi un monumento, sfortunatamente non funebre, all’inefficienza. La concentrazione del potere di per sé non è un male, finché lo reggono persone buone.
Non c’è illusione che la storia d’Italia smentisca in modo più definitivo che questa. Però non esce dalle formule della nostra discussione pubblica e, quel che è peggio, l’impressione è che non sia una preghiera ripetuta per rispetto ai defunti: ma per fede.