Presentato nel corso di una conferenza tenuta a Osimo nel 1847, questo scritto di Rosmini rappresenta una straordinaria confutazione di quell’insieme di teorici socialisti che, dopo Marx, siamo abituati a ricondurre all’etichetta del “socialismo utopistico”.
La riflessione del pensatore roveretano muove da premesse antropologiche e, in particolare, da una critica molto netta del materialismo socialista. Poiché “l’uomo non è una macchina”, l’intera struttura concettuale del socialismo fallisce, dato che non riesce a cogliere l’esigenza fondamentale di salvaguardare la proprietà e la libertà, che sono condizioni essenziali affinché la vita umana possa dispiegarsi.
In particolare, Rosmini porta alle estreme conseguenze le tesi di Owen, Fourier e Saint-Simon per mostrare come la teoria comunista sia la negazione dei diritti individuali, della libertà di coscienza, del diritto a ricercare la felicità e a realizzare una “vita buona”. La conclusione a cui giunge Rosmini è che il nuovo governo assolutistico auspicato da questi rivoluzionari comporta una “centralizzazione e pienezza di dominio (…) senza esempio negli annali del mondo”.