David Hume è noto soprattutto come filosofo: l’ultimo grande rappresentante dell’empirismo britannico di Sei e Settecento, il difensore di una teoria della conoscenza focalizzata sui fenomeni, il negatore delle nozioni di sostanza e causalità, l’interprete di una teoria morale che pone al centro le emozioni. Ma egli è stato anche un importante economista e un attento analista della vita politica.
Nei tre saggi qui riuniti (“Sul commercio”, “Sulla bilancia commerciale” e “Sulla rivalità nel commercio”) Hume presenta le sue idee in difesa del libero scambio e mostra la fragilità degli assunti che erano alla base delle analisi e delle politiche mercantiliste. Non soltanto egli sottolinea come l’atto dello scambiare beni e servizi sia essenziale allo sviluppo della civiltà, che si basa su specializzazione e divisione del lavoro, ma rileva quanto sia contestabile l’ossessione – caratteristica degli intellettuali schierati a difesa dello Stato assoluto – sulla bilancia dei pagamenti.
Per Hume lo sviluppo delle relazioni commerciali è essenzialmente positivo in varie direzioni: per gli attori economici del Paese che si apre a un’economia globale (che grazie agli scambi sviluppano le proprie potenzialità), per le sue istituzioni politiche (che possono trarre solo beneficio da tanta prosperità), per le altre nazioni (che entrano in una competizione non conflittuale e distruttiva, ma destinata a migliorare tutti).