Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti e Giuseppe Prezzolini, poi Benedetto Croce, Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto: che cosa accomuna questi intellettuali vissuti tra Otto e Novecento?
Per Paolo Vita-Finzi furono tutti, ciascuno a proprio modo, dei precursori inconsapevoli del fascismo. Critici dei meccanismi di quella democrazia liberale che ai loro tempi andava lentamente affermandosi, si lasciarono sedurre, in vario grado, da teorie e ideologie che da una parte (a sinistra) mitizzavano il popolo e dall’altra (a destra) l’uomo forte: dottrine intrise di motivi antiparlamentari e rivoluzionari, non aliene dal culto della violenza.
Pubblicato per la prima volta nel 1961 per l’editore Vallecchi (alcune pagine erano uscite tra il 1954 e il 1958 sul settimanale «Il Mondo»), Le delusioni della libertà si compone di diciotto brevi capitoli nei quali si delineano i profili di alcuni tra i principali intellettuali italiani e francesi che hanno tradito gli ideali democratici. Segnalatosi immediatamente come un’importante riflessione per comprendere la genesi e il significato del fascismo, il valore storiografico del libro rimane inalterato nonostante i numerosi studi sul tema pubblicati nel corso degli anni. Con il suo stile chiaro e brillante, Vita-Finzi conduce il lettore nel cuore delle questioni e delle idee di questi pensatori, disegnando, insieme, il ritratto di un’epoca..