70 miliardi di euro. A tanto ammontano le risorse che, ogni anno, i contribuenti europei versano nelle casse delle aziende che gestiscono reti e forniscono servizi di trasporto collettivo locale e di lunga percorrenza. Risorse necessarie, ripetono in coro decisori pubblici di ogni Paese e di ogni schieramento, per garantire il “diritto alla mobilità” delle persone a più basso reddito e per perseguire l’obiettivo del riequilibrio modale: meno auto e più tram, meno tir e più vagoni ferroviari. Solo così, ci dicono, la mobilità potrà divenire “sostenibile”.
In questo libro, che raccoglie i contributi di importanti studiosi del settore (Wendell Cox, Marco Ponti, Rémy Prud’Homme e Francesco Ramella), si mostra però come tale ingente trasferimento di risorse non abbia portato ad alcun risultato apprezzabile. Per i loro spostamenti quotidiani, i cittadini continuano a preferire in larghissima maggioranza, i poveri non meno dei ricchi, l’ipertassata auto; mentre, per il trasporto merci, la quota di mercato della ferrovia, espressa in termini di fatturato, è prossima allo zero. Sembra dunque giunto il momento di cambiare strada e di assumere come priorità la riduzione dell’impatto del settore dei trasporti sulla finanza pubblica: meno spesa, meno tasse, meno inquinamento e più mobilità.
Come scrive Enrico Musso, presidente della Società Italiana di Economia dei Trasporti e della Logistica, nella sua prefazione: «Il sistema dei trasporti, a tutti i livelli, deve recuperare efficacia e soprattutto efficienza. Deve produrre una mobilità migliore a costi più bassi, soprattutto per il contribuente. E per farlo, deve concentrare l’intervento pubblico e la fiscalità dove davvero ha un senso, ritirandoli da altri comparti dove, all’opposto, servono robuste iniezioni di impresa e concorrenza». Un’altra politica, economicamente sostenibile, è possibile.