Nel 2017 il paese con l’economia più liberalizzata nell’Unione europea è la Gran Bretagna, con un punteggio complessivo pari a 95, seguita da Paesi Bassi (80) e Spagna (78). L’Italia occupa l’ottava posizione con 71 punti, mentre le economie meno aperte sono Lettonia (54), Cipro (55) e Lituania (56). Sono questi i risultati dell’Indice delle liberalizzazioni 2017, il rapporto annuale dell’Istituto Bruno Leoni sul grado di apertura del mercato in dieci settori dell’economia nei 28 Stati membri dell’Ue.
Per ciascun settore, sulla base di una griglia di indicatori qualitativi e quantitativi sulla pervasività della regolamentazione e le dinamiche effettive dei mercati, l’Indice attribuisce 100 punti al paese più liberalizzato, mentre il punteggio assegnato agli altri Stati membri è una misura della “distanza dalla frontiera”. I settori indagati sono: carburanti, mercato elettrico, mercato del gas, mercato del lavoro, servizi postali, telecomunicazioni, servizi audiovisivi, trasporto ferroviario, trasporto aereo e assicurazioni.
L’Italia ottiene un punteggio molto elevato nel settore delle telecomunicazioni (91 punti) e risultati positivi nel mercato elettrico (79), nei servizi audiovisivi e nel trasporto aereo (78), nel mercato assicurativo (76), nel mercato del lavoro (71) e in quello del gas (70). Sono invece inferiori i punteggi in altri ambiti dell’economia: poste (69), carburanti (52) e trasporto ferroviario (50). Rispetto al 2016, l’Italia segna un lieve avanzamento complessivo (un punto), dovuto a un miglioramento nei mercati dei carburanti, del lavoro, poste, servizi audiovisivi, trasporto aereo e assicurazioni, e arretramenti negli altri casi. In generale, tuttavia, si tratta di scostamenti di modesta entità.
Il volume è aperto da un saggio introduttivo di Michael Munger (Duke University) e relativo all’economia delle piattaforme online: secondo Munger, la “app economy” è un fenomeno di drastica riduzione dei costi delle transazioni, che consente di aumentare l’efficienza economica e promuovere la concorrenza. Proprio per questo, norme finalizzate a tutelare gli operatori tradizionali proteggendoli dalle nuove forme di competizione rischiano di danneggiare anzitutto i consumatori.
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