“Non dalla benevolenza del Cavaliere”. Una preoccupazione centrale del liberalismo è l’idea che le conseguenze inintenzionali delle azioni umane tendono a essere più importanti di quelle intenzionali. Questo vale con tutta probabilità anche per le conseguenze di Silvio Berlusconi e per il suo liberalismo. Berlusconi scende in campo nel 1994 e sfodera una scimitarra retorica che non si è mai vista. I partiti della Prima Repubblica, incluso quello “liberale”, da trent’anni giocano ad allargare il perimetro dello Stato. Le inchieste di Milano e la percezione diffusa che la grande impresa pubblica sia stata il primo elemosiniere illecito hanno determinato un clima nuovo. Nel discorso con cui pose fine all’esperienza del suo governo e con cui sperava di recitare il de profundis per tutto un “sistema”, nel 1993, Giuliano Amato spiegava che “la degenerazione progressivamente intervenuta nei partiti italiani (…) è stata in realtà il ritorno alla progressiva amplificazione di una tendenza forte della storia italiana, che in quest’ultima era nata negli anni Venti e Trenta con l’organizzazione di quel partito”.
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