21 Dicembre 2014
La Gazzetta del Mezzogiorno
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
La Libreria San Giorgio, piccola ma dinamica casa editrice di Varese, ha recentemente ridato alle stampe un paio di lavori di straordinario interesse, in cui sono inclusi scritti di due intellettuali (entrambi siciliani) tra i più originali e controcorrente dell’Italia post-unitaria. Il primo volume include una serie di testi di quello che fu senza dubbio il maggiore economista liberale dell’Ottocento, Francesco Ferrara (1810-1900), di cui qui sono stati raccolte in volume pagine di varia natura sotto il titolo Libertà in tutto e per tutti (pp. 308, 15 euro).
Scienziato sociale che ha introdotto nella nostra cultura le più alte espressioni della teoria economica e del liberalismo del tempo (e le sue introduzioni a quegli autori sono tuttora ricche di insegnamenti), Ferrara meritava questa edizione destinata a un lettore non specialista, dopo che un’iniziativa assai pregevole dell’Abi aveva compiuto lo sforzo di rendere disponibile agli studiosi l’insieme in ben quattordici volumi delle sue ricerche. Nelle pagine qui antologizzate si percepisce la ricchezza dei temi che hanno animato gli studi di Ferrara, che non soltanto ha avversato l’interventismo statale, il monopolio della moneta e il protezionismo, ma è stato pure uno strenuo fautore di soluzioni federali: fin da quegli anni Trenta del diciannovesimo secolo, quando chiese per la sua Sicilia il diritto di gestirsi da sé, sottraendosi al controllo del potere dei Borbone.
L’altro testo che come il primo è stato curato dallo storico Paolo Luca Bernardini s’intitola L’Italia nel 1898. Tumulti e reazione (pp. 197, 12 euro) e si deve alla penna di un intellettuale repubblicano, Napoleone Colaianni (1847-1921). Sul piano della cultura politica, potrebbe sembrare che pochi siano i punti di contatto tra il garibaldino e mazziniano Colajanni, che nel 1895 prenderà parte anche alla fondazione del partito repubblicano, e il liberista Ferrara che fu appassionato cultore di Smith e di Bastiat. Eppure non è così, dato in entrambi si riconosce un coraggioso dissenso verso le istituzioni e il potere. Il volume di Colajanni analizza la violenta repressione compiuta a Milano, nel maggio del 1898, dall’esercito comandato dal generale Bava Beccaris, quando dinanzi a una popolazione ribelle e affamata il governo retto da Antonio Di Rudinì rispose con i fucili, lasciando senza vita sul selciato molte persone. Dopo tutto questo, il generale ricevette pure dal primo ministro un telegramma che conteneva queste parole: «Ella ha reso un grande servigio al Re e alla patria».
Colajanni non si limita a esaminare le vicende: le premesse dello scontro, i dati (assai controversi: neppure oggi si sa esattamente quanti furono i morti), le conseguenze di natura politica. Quella dello scrittore siciliano è pure una riflessione attenta sull’ordine politico e sociale del tempo, su una società che guarda alla libertà con terrore e in tal modo finisce per delineare un’alternativa secca tra reazione e rivoluzione.
Pur tanto diversi tra loro, questi volumi ci restituiscono un’immagine analogamente cupa dell’Italia di secondo Ottocento: ben lontana dalle rappresentazioni celebrative. Viene alla luce un Paese chiuso in se stesso, controllato da élite inadeguate, incapace di cogliere le opportunità del tempo e dare spazio alla libertà d’iniziativa, indisposto al dialogo e retrivo anche quando si vuole aperto al progresso e alla modernità. È insomma un’Italia, quella ottocentesca, che per certi aspetti ricorda da vicino l’attuale. In entrambi gli autori è poi forte la convinzione che una società più matura esiga un diverso protagonismo dei ceti che la compongono e delle differenti realtà locali. Questo è vero in generale, ma soprattutto per un Paese tanto complesso e articolato quanto il nostro. Ed è anche per tale ragione che la lezione di questi due grandi siciliani rimane così attuale.
Da La Gazzetta del Mezzogiorno, 20 dicembre 2014
Twitter: @CarloLottieri