Ogni promessa è debito, dice un motto molto popolare. Ma in vista delle elezioni politiche italiane del 4 marzo sarebbe meglio dire che ogni promessa elettorale si trasforma in debito. Pubblico, naturalmente.
Da destra a sinistra, anche in questa tornata preelettorale gli schieramenti politici tricolori si sono sbizzarriti in una serie di proposte acchiappa-voti che l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano guidato dall’economista Carlo Cottarelli, stimato ex funzionario del Fondo monetario internazionale e per pochi mesi commissario alla spending review del Governo Renzi, ha quantificato nell’iperbolica cifra di 1.000 miliardi di euro, di cui 500-600 miliardi di debito statale da tagliare e il resto legati a misure di ogni tipo. Dall’abolizione della Legge Fornero, che sta gradualmente innalzando la soglia d’età pensionabile, al reddito di cittadinanza per aiutare le fasce più deboli della popolazione, dalla flat tax – con l’introduzione di un’unica aliquota fiscale per tutti, privati e aziende – fino agli investimenti realizzati al di fuori dei vincoli europei.
Insomma, vera fantasia al potere. Eppure i problemi dell’economia italiana non cambiano. Anzi. Passata l’emergenza spread, cioè del differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi – anche se il presidente della Commissione europea Jean-Claude Trichet nei giorni scorsi ha ammonito che in caso di «un Governo non operativo in Italia ci potrebbe essere una forte reazione dei mercati» -, debito pubblico, pensioni, mercato del lavoro e fisco restano nodi irrisolti. Che rischiano d’ingarbugliarsi ancora di più dopo le elezioni.
Il debito pubblico italiano, anche senza le nuove promesse elettorali, resta sempre fuori controllo, al 131,6% del Prodotto interno lordo: l’Istituto Bruno Leoni ha stimato che cresce di ben 4.469 euro al secondo e che il prossimo 4 marzo sfonderà la cifra-monstre di 2.300 miliardi di euro. Leggendo i programmi nessun partito vuole introdurre nuove tasse per ridurre questo macigno, ma tutti sognano di tagliarlo di 30-40 punti percentuali nei prossimi 5-10 anni. Sognano, appunto.
L’unica certezza? Sul prossimo Esecutivo pende la spada di Damocle di una nuova manovra correttiva da 3-4 miliardi di euro che servirà a rimettere in equilibrio i conti pubblici e a rispettare gli impegni presi con la Commissione europea lo scorso anno. L’Europa è pronta a chiedere a Roma un nuovo sacrificio anche se tutto dipenderà dalla valutazione del quadro macroeconomico e di finanza pubblica. E dalle riforme strutturali che il nuovo Governo porterà avanti. L’occupazione in Italia è migliorata, ma la ripresa è ancora debole e asimmetrica: per i giovanissimi i posti di lavoro sono saliti del 7,6% in un biennio, mentre quelli per i 30-40.enni sono fermi al +0,7%. E le assunzioni, nella maggior parte dei casi a tempo determinato, sono state propiziate da sgravi fiscali e dalla flessibilità dei rapporti di lavoro introdotti con il Jobs Act. Sui dati dell’occupazione ha impattato in modo significativo anche la cosiddetta Legge Fornero, che sta spostando in avanti anche di 7-8 anni le lancette della pensione degli italiani in linea con l’aspettativa di vita e gli standard europei. Ma la volontà espressa da molti partiti in campagna elettorale di modificarla, abbassando di nuovo l’età del ritiro, potrebbe costare fino a 20 miliardi di euro in più all’anno. Soldi difficili da trovare, a meno di rinviare – ancora – la riforma fiscale che da anni tutti invocano, sia a destra sia a sinistra. Nell’ultimo periodo le famiglie italiane hanno visto crescere il loro reddito disponibile, che però è ancora di un 10% inferiore ai livelli pre-crisi. E questo si traduce in consumi interni solo in leggera ripresa (+1,3%) contro il +3,3% delle esportazioni, vero motore del Prodotto interno lordo italiano, salito dell’1,5% lo scorso anno. Un buon dato, che però confina la Penisola in penultima posizione nella classifica europea (peggio di Roma c’è solo Londra con un +1,4%), valore confermato dalla Commissione europea anche per quest’anno. Ma a una condizione e cioè che l’Italia continui a «implementare le riforme pro-crescita che sono già state adottate», oltre che a «perseguire politiche fiscali prudenti».
E intanto c’è anche chi scommette contro l’Italia. Si tratta di Bridgewater, il maggiore fondo speculativo al mondo con un patrimonio in gestione di 160 miliardi di dollari, che ne ha puntati 3 poco meno dello 0,5% della capitalizzazione di Piazza Affari – sul crollo della Borsa italiana dopo il 4 marzo. La politica è avvertita.
Da Il Corriere del Ticino, 27 Febbraio 2018