Nel santuario di Gabaon dove si è ritirato in una notte di meditazione e preghiera agli esordi del suo regno, Salomone chiede a Dio «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e distinguere il bene dal male». Dio gli concederà, compiaciuto della richiesta, «un cuore saggio e intelligente» col quale «discernere nel giudicare». Salomone governerà con proverbiale rettitudine. Con saggezza, amministrerà la giustizia.
Il racconto della sua intronizzazione rappresenta un passaggio fondamentale per una comprensione del potere come dovrebbe essere: spirito di servizio prima che esercizio di comando, mitezza e non arroganza, senso di responsabilità più che di dominio. Una lezione difficile da tenere a memoria nella quotidiana pratica del governo, ma che dovrebbe tornare ancor utile nei momenti di spaesamento e confusione (transizione, come si dice oggi), in cui è più avvertito il bisogno di leadership, e quindi più pressante l’individuazione delle sue caratteristiche, non impressioni il richiamo biblico. I libri della Bibbia sono ancora oggi una miniera di simboli e racconti utili a interpretare la realtà umana.
Deve averlo pensato anche Antonio Funiciello, visto che, nel libro appena uscito per Rizzoli Leader per forza. Storie di leadership che attraversano i deserti, dedica a Mosè il primo dei ritratti di leadership. Mosè, racconta Funiciello, divenne un capo chiamato a condurre il suo popolo attraverso il deserto non per amore di potere, ma per spirito di servizio a Dio. Vale a maggior ragione per un leader vero quello che vale per tutti: ciascuno ha i suoi deserti, quei luoghi in cui si fanno i conti con la propria finitezza e, soprattutto, la solitudine. Un leader li attraversa perché ha un obiettivo in testa più tenace delle sue paure; perché, tra il lucore dell’aridità o l’abbaglio dei miraggi, prova a guardare oltre l’orizzonte; perché il misto di ambizione e capacità intellettuali (e morali) gli danno la forza di assumersi responsabilità di comando.
I leader moderni non ricevono designazione divina, come Mosè e Salomone. Questo rende più dubbia la loro legittimazione, più incerto il loro cammino, più faticoso l’esercizio del potere, più fragile la manifestazione del diritto che promana da quel potere.
È utile allora comprendere quali sono le caratteristiche del giusto leader, per riconoscerlo anche senza l’aiuto di Dio. Ed è proprio quanto sembra voler fare Funiciello nel suo libro, tracciando, a partire dalla riluttanza al potere e dal senso di servizio, le qualità principali di un leader giusto. (Avvertenza: all’aggettivo giusto ci si accosta con timore, ormai. I giuristi preferiscono parlare di legittimo, gli economisti di efficiente, i politologi di opportuno. Credo invece che il modello di leadership tracciato da Funiciello sia proprio quello del leader giusto, vuoi nel senso del leader di cui c’è bisogno, vuoi nel senso del leader che opera e decide, magari sbagliando, ma secondo principi e metodi improntati a rettitudine).
Un vero leader, un leader giusto, un leader animato da un impegno politico più che dalla smania di potere, è un leader che prova a condividere, che capisce quando allearsi, che sa imporsi, che riesce a fare un passo indietro, che cerca di guardare lontano. I tratteggi di Golda Meir, Harry Truman, Cavour, Lincoln, Nelson Mandela e Václav Havel servono a far emergere un profilo euristico, che da episodi e individui singoli arriva a dare un’immagine di giusta leadership. Il modello che ne emerge è così ambizioso che è difficile guardarsi intorno e riconoscerne copie in circolazione. Forse, allora, ciò che può e che deve restare del libro, a dispetto di letture in superficie e della ritrattistica tra storia e attualità, non è solo una guida a riconoscere chi sia (stato) leader nel XX secolo e forse oltre, ma anche una guida a come un leader dovrebbe essere e agire.
Nel suo precedente libro, «Il metodo Machiavelli», Funiciello ha descritto il consigliere del leader, colui che lo affianca nell’interpretare gli eventi, scorgere i pericoli, provare a trovare risposte, organizzare il lavoro. In questo, l’obiettivo si focalizza su chi, dopo questo lavoro «istruttorio», deve assumere, infine, le decisioni.
I due libri si aggirano nelle stanze in cui si esercita il potere. Ma la democrazia è uno spazio più complesso e vasto, dove si muovono anche i governati, coloro che decidono chi decide, o almeno si illudono di farlo. L’augurio con cui si vuol leggere «Leader per forza» è che sia il secondo di una trilogia dedicata al potere, dalla parte di chi lo esercita così come dalla parte di chi lo delega.
da L’Economia del Corriere della Sera, 19 giugno 2023