Il governo della Lega dimentica il Federalismo

Il movimento fondato da Umberto Bossi era nato proprio per garantire al Nord il diritto a governarsi da sé. Ora tutto è cambiato

21 Maggio 2018

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Si è molto ragionato attorno al “contratto” elaborato da leghisti e grillini in vista della costruzione di un nuovo governo, dopo il voto del 4 marzo scorso.
Al centro del compromesso tra queste due forze politiche vi sono vari temi: alcuni dei quali di fondamentale importanza. In particolare, l’attenzione si è focalizzata su una possibile riforma fiscale basata sulla “flat tax” e sull’introduzione di un reddito di cittadinanza volto a sorreggere le fasce più povere della società. Sulla necessità di ridurre le imposte ha insistito soprattutto la Lega, mentre la proposta di garantire un sostegno assistenziale ha avuto soprattutto il favore dei Cinquestelle.
Colpisce constatare che mai come ora i leghisti siano in grado di condizionare il programma di governo, ma come al tempo stesso oggi la riforma istituzionale sia un tema del tutto accantonato.
Il movimento “inventato” da Umberto Bossi era nato proprio per garantire alla Lombardia e agli altri territori del Nord il diritto a governarsi da sé e proprio per tale ragione esso aveva attratto un pensatore come Gianfranco Miglio. Eppure adesso tutto è cambiato.
Certo è diversa la strategia della Lega, che non persegue più il federalismo. In fondo, anche sulla questione catalana la mobilitazione leghista è stata assai limitata, mentre le cose sarebbero andate assai diversamente dieci o vent’anni fa. La Lega non è più un partito che ha la sua missione principale nella trasformazione federale dell’Italia o nell’indipendenza della Padania (come ancora recita il primo articolo del suo statuto), ma è invece un partito sovranista e nazionale, la cui azione politica mira soprattutto a enfatizzare i temi della sicurezza. Questo spiega perché Matteo Salvini non voglia il ministero delle Riforme istituzionali, ma quello degli Interni.
Nel contratto stilato dagli esperti di Lega e M5S, i pochi accenni ai temi delle autonomie sono connessi al fatto che, l’autunno scorso, gli elettori di Lombardia e Veneto hanno espresso con nettezza la propria aspirazione a mantenere sul territorio quanto qui viene prodotto e a elaborare forme istituzionali proprie.
Quelle stesse due iniziative referendarie, però, oggi appaiono l’eco di una stagione politica passata, legata a questioni per tanti aspetti estranee al dibattito principale o, quanto meno, che non sono al cuore delle forze politiche prevalenti.
Per qualche anno è sembrata emergere la volontà di delineare una vita politica basata non più sulla contrapposizione tra destra e sinistra, ma sul contrasto di visioni e interessi che oppone le distinte regioni d’Italia. La Lega immaginava che i vari territori potessero autogovernarsi ed essere responsabilizzati, smettendo di destinare somme ingenti ad altre realtà e ottenendo la possibilità di definire regole proprie.
Oggi tutto è cambiato, tanto che i due veri vincitori delle elezioni di marzo (Luigi Di Maio e Matteo Salvini) insistono sempre sul contrasto tra il vecchio e il nuovo, tra l’establishment di Roma e Bruxelles e le domande di assistenza e sicurezza di una società troppo a lungo ignorata nelle sue aspirazioni fondamentali.
E se le cose stanno così, il federalismo può attendere.

da La Provincia, 21 maggio 2018

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