Il liberalismo “realista” di Raymond Aron

Aron è stato uno straordinario intellettuale europeo e il suo metodo d'indagine può essere adattato anche all'oggi, in un mondo cambiato

3 Febbraio 2025

Nuova Antologia

Redazione

Argomenti / Teoria e scienze sociali

«Invochiamo con tutto il cuore l’avvento degli scettici, se hanno il compito di far sparire il fanatismo» è una frase di Raymond Aron, grande sociologo e filosofo liberale francese, contenuta in una delle sue opere più significative L’oppio degli intellettuali, datata 1955. In poche, essenziali parole questa sentenza racchiude il senso della sua lezione, nel segno della verifica empirica e del rifiuto non solo delle ideologie, ma soprattutto degli ideologismi che portano al massimalismo e al populismo. Fu “marxiano”, nel senso che del pensatore tedesco condivideva il metodo ma fu fortemente antimarxista tutta la vita, come ha affermato Angelo Panebianco, che di Aron è uno dei massimi studiosi in Italia; proprio la reazione al marxismo imperante in molte parti d’Europa nel dopoguerra, ha spinto il francese a diventare uno degli studiosi e polemisti autorevoli in tema di conoscenza dei totalitarismi, dei loro meccanismi e implicazioni.

E se c’è un punto su cui vale la pena interrogarsi, è il motivo per cui Aron — lo ha scritto bene Alessandro Campi — resta un autore che la destra, sia francese che in particolare italiana, non legge e non tiene quasi in considerazione. Quando invece la sinistra ha ascoltato, sia pure parzialmente e con fatica, gli insegnamenti di Norberto Bobbio. Ben venga allora tutto quello che incoraggia a studiare o almeno a non dimenticare Raymond Aron, questo straordinario intellettuale europeo di cultura classica. Filosofo scettico e sociologo di una specie tutta particolare; legato al suo tempo, tra gli anni Trenta e Sessanta, ma il cui metodo d’indagine può essere adattato anche all’oggi, in un mondo cambiato.

Ecco perché merita di essere letto questo libro pubblicato nelle edizioni dell’Istituto Bruno Leoni, un saggio utile ad approfondire la figura di Aron, le radici del suo pensiero, la vocazione a comprendere il suo tempo con l’attenzione dello scienziato come lo furono i suoi maggiori: da Machiavelli a Montesquieu e soprattutto Tocqueville a cui è stato accostato per la capacità di analizzare con l’acutezza dell’osservatore scientifico le caratteristiche della sua epoca all’interno del quadro internazionale.

Come scrive Carrino, citando i più attenti studiosi del pensatore, a cominciare dal connazionale Nicolas Baverez, quello di Aron «è un individualismo, potremo dire, classico, lontano da quello degenerato dei nostri giorni, preda dell’ideologia dei diritti dell’uomo, di un uomo ridotto a mero consumatore, un liberalismo al quale non sfugge la proiezione naturalmente sociale (ovvero politica) dell’individuo in uno con la sua natura ugualmente egoistica». Siamo quindi nel campo del razionalismo, ossia del realismo: quanto di più lontano dalla propensione ad affrontare la vicenda umana con le armi ideologiche, tendenti presto o tardi a curvare verso l’autoritarismo quando non il totalitarismo. Sono note le sue dispute con Sartre, che rappresentava la sua antitesi, nelle quali Aron seppe difendere con successo la dimensione politica e pragmatica dell’agire pubblico. La sua idea di impegno “civico” in difesa dell’autorità legittima come cardine della società è ben diversa dall’engagement degli intellettuali che si affacciarono sulla scena a partire dal ’68. Sarebbe auspica bile che l’attuale classe politica riscoprisse il pensiero di Aron.

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